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Meno meeting ma più mirati: così migliora l’efficienza aziendale

Se c’è un aspetto che la pandemia ha veramente rivoluzionato è la modalità del lavoro. Che da tradizionale, alla propria scrivania e in ufficio, è stato catapultato verso nuove formule, come lo smart working. Spesso rivelando che il “nuovo” è spesso più produttivo ed efficace di quello che ritenevano assodato. In sintesi, le aziende hanno dovuto adattarsi in fretta ai cambiamenti obbligati e, passata la tempesta, quelle più lungimiranti hanno esplorato le modalità in cui le attività di business potevano essere ripensate sulla base delle esperienze fatte. È interessante capire in che modo molte organizzazioni abbiano imparato a sfruttare questa situazione per cogliere l’opportunità di rinnovarsi e migliorarsi al fine di soddisfare le esigenze di clienti e dipendenti. Da una recente indagine interna realizzata da Verizon in collaborazione con Boston Consulting Group, ad esempio, emerge come, solo cambiando l’approccio con cui si svolgono i meeting, si possano ottenere grandi risultati in termini di produttività.

Il ruolo della tecnologia

Per far sì che le aziende affrontino efficacemente questi nuovi approcci al lavoro, è necessario disporre prima di tutto infrastrutture tecnologiche, standard di sicurezza e soluzioni adeguate, insieme alle competenze e alle risorse giuste, come sostiene Sampah Sowmyanarayan, Chief Revenue Officer di Verizon Business.
Inizialmente, il rapido passaggio a un modello di lavoro da remoto o distribuito è stato uno shock per il sistema, ma ora può essere visto dalle aziende come un’opportunità per plasmare il modo in cui i dipendenti adottano i nuovi strumenti e si adattano ai nuovi processi di collaborazione. Per avere un impatto significativo, non sono necessari grandi cambiamenti, bastano, invece, piccole azioni per fare una grande differenza, come ad esempio: adottare pratiche semplici e di impatto per migliorare le riunioni; pianificare meeting di 25 o 50 minuti con un orario di inizio ritardato di 5-10 minuti; indicare chiaramente lo scopo e l’ordine del giorno sull’invito alla riunione; rivalutare la necessità di riunioni periodiche ricorrenti; verificare la reale necessità dei meeting e la possibilità di sostituirli con modalità di lavoro asincrone, ad esempio e-mail, chat, documenti condivisi o revisione offline.

Vietato perdere tempo

Nel corso dell’indagine interna, portata avanti per un mese, Verizon Business ha analizzato le abitudini relative alla partecipazione ai meeting di un team di circa 150 dipendenti, monitorando i risultati relativi alle varie modifiche apportate alle riunioni. Per tutto il mese sono stati inviati ai partecipanti sondaggi giornalieri e settimanali per un feedback continuo, consentendo l’evoluzione in tempo reale di processi e attività. I risultati sono stati straordinariamente positivi, a dimostrazione dell’impatto che possono avere anche piccoli cambiamenti: il 90% dei partecipanti ha affermato che i nuovi modi di gestire le riunioni hanno contribuito a migliorare l’efficacia complessiva delle stesse; l’83% ha affermato di sentirsi più a suo agio nel lavorare attraverso modalità asincrone, come e-mail, strumenti di collaborazione e documenti condivisi; il 78% ha affermato di sentirsi come se stesse perdendo meno tempo, evitando di prendere parte a riunioni in cui non è richiesta la partecipazione dal vivo.

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Welfare familiare e valore sociale del lavoro domestico in Italia

Per l’assistenza a un familiare anziano o non autosufficiente, il 58,5% delle famiglie italiane non esita a scartare il ricorso a una Rsa (Residenza sanitaria assistenziale), preferendo l’assunzione di una badante. Solo il 41,5% prende in considerazione la scelta di una Rsa: di queste, il 21,3% si rivolgerebbe a una struttura convenzionata, il 14,2% privata, e il 6,0% pubblica. È quanto emerge dal report Le famiglie, il lavoro domestico, i caregiver, le Rsa, elaborato nell’ambito del progetto Welfare familiare e valore sociale del lavoro domestico in Italia, realizzato dal Censis per Assindatcolf, l’Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico. Secondo il report le donne mostrano l’orientamento più marcato a evitare una Rsa (60,1% vs 56,1% uomini). Anche gli stessi anziani sono scettici: dal 50,8% di chi ha un’età inferiore ai 55 anni si passa al 52,9% di chi ha un’età compresa tra 55-64 anni, per salire al 69,5% degli over 64.

Un sistema ancora zoppicante

Da report si ricava la rappresentazione di un sistema di welfare ancora zoppicante, al quale non corrisponde un’iniziativa riformatrice tempestiva. Il disegno di legge ‘Disposizioni per il riconoscimento e il sostegno del caregiver familiare’, datato agosto 2019, è infatti ancora fermo in Senato. La distanza dal modello organizzativo delle Rsa, per come si configura oggi, è spiegata soprattutto dai dubbi relativi alla qualità delle relazioni che si potrebbero mantenere all’interno delle strutture di assistenza. Chi esclude il ricorso a una Rsa è consapevole delle difficoltà a riproporre, all’esterno della propria casa, le attenzioni rivolte alla persona anziana o non autosufficiente (59,0%).

Timore degli effetti negativi sul familiare da assistere

C’è inoltre la convinzione che il distacco dalla propria abitazione produrrebbe effetti negativi sul familiare da assistere (20,9%). Al contrario, la scelta di una Rsa è invece motivata dalla professionalità del personale impiegato nelle strutture di assistenza (63,3%).  Minore rilevanza assumono altri aspetti, come l’importo della retta da pagare, che rimanda a una valutazione della sostenibilità della spesa (9,1%), e la vicinanza della struttura (9,0%), che garantirebbe la possibilità di visitare più frequentemente il familiare affidato alla Rsa. Qualità dell’ambiente e dotazione di strumenti che garantiscano un certo grado di autonomia agli assistiti raccolgono complessivamente circa il 15% delle indicazioni.

I caregiver familiari: essenziali, ma invisibili

Il 53,4% delle famiglie considera prioritario alleviare la fatica che grava sui caregiver attraverso l’intervento di personale esterno. Tra le soluzioni da adottare a favore dei caregiver viene indicato il riconoscimento di forme di reddito che possano almeno in parte ricompensare il ruolo sostitutivo svolto a causa della mancanza di strumenti di welfare adeguati per l’assistenza di persone anziane o non autosufficienti (25,5%). A seguire, si auspica la possibilità per il caregiver di lavorare da casa (9,0%), mentre per il 6,7% servirebbero l’assicurazione contro gli infortuni domestici e la possibilità di poter accedere a una pensione sulla base di contributi figurativi. Per il 5,4%, poi, sarebbero utili percorsi formativi per qualificare l’assistenza offerta al familiare.

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Lombardia, la disoccupazione scende ai livelli pre-crisi

La Lombardia, ancora una volta, dimostra di saper “reggere” alle difficoltà e di saper reagire con altrettanta forza. E’ il caso della risposta della Regione agli effetti della pandemia, che ha avuto pesanti ripercussioni sul mondo del lavoro. Passata la fase più critica dell’emergenza, nel primo trimestre 2022 gli occupati in Lombardia sono tornati a crescere. Nel dettaglio, sono  4 milioni e 365 mila, ben 133 mila in più rispetto allo stesso trimestre dell’anno scorso. In termini percentuali la crescita è pari al +3,1%, un valore leggermente inferiore al dato italiano (+4,8%). Il tasso di occupazione nella regione si conferma però tra i più elevati a livello nazionale, attestandosi al 67,1%: la Lombardia resta, dunque, il motore dell’economia italiana.

Più uomini nella forza lavoro

Prosegue quindi il processo di ripresa dell’occupazione lombarda, avviato nel 2° trimestre 2021 dopo la crisi generata dall’emergenza sanitaria. Il recupero dei livelli non è però ancora completo: mancano infatti 82 mila occupati per raggiungere i valori del 2019 e 1,3 punti percentuali per quanto riguarda il tasso di occupazione. I maggiori contributi alla crescita in questo trimestre provengono dalla componente maschile della forza lavoro (+3,6% su base annua), dopo tre trimestri in cui erano state soprattutto le donne a trainare l’occupazione.

Bene i settori di commercio, alloggio e ristorazione

Forti segnali positivi dalle attività commerciali, di alloggio e ristorazione (+9,1%) – che sono tuttavia ancora lontane dal recuperare i livelli persi a seguito della crisi – e dai lavoratori indipendenti (+4,1%), che nel 2021 avevano mostrato una tendenza ancora negativa. L’aumento dell’occupazione si associa a un calo del numero di persone in cerca di lavoro: il tasso di disoccupazione scende al 5,5%, un valore inferiore sia al 2021 che ai livelli pre-crisi, grazie in particolare alla discesa della componente maschile.

Le considerazioni di Unioncamere

“L’occupazione in Lombardia continua a crescere, nonostante le incertezze della congiuntura economica – commenta Gian Domenico Auricchio, Presidente di Unioncamere Lombardia – tuttavia la partecipazione al mercato del lavoro è ancora al di sotto dei livelli del 2019, mentre molte imprese segnalano difficoltà nel reperire il personale necessario. Diventa quindi importante favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e lo sviluppo delle competenze ricercate dalle imprese e supportare la conciliazione tra lavoro e vita privata per favorire la partecipazione femminile”.

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Secondo Bankitalia un figlio costa 640 euro al mese

Mantenere un figlio in Italia costa 640 euro al mese. È questa la cifra che secondo Bankitalia, spende in media una famiglia mensilmente per ogni figlio appartenente al nucleo. Il dato emerge in un riquadro all’interno della Relazione annuale della Banca d’Italia, che ha preso come riferimento i costi dei nuclei familiari composti da due adulti con uno o più figli minori, durante il periodo compreso tra il 2017 e il 2020. All’interno della spesa di 640 euro, precisa l’istituzione, sono compresi gli acquisti relativi a beni e servizi destinati esclusivamente ai figli, come gli alimenti per neonati o le rette scolastiche, e una quota dei consumi rilevati a livello familiare, come le spese per l’abitazione e per i trasporti, stimati utilizzando diversi criteri di ripartizione.

Quasi il 60% della spesa per cibo, abbigliamento, casa, istruzione e salute 

Di fatto, quasi il 60% della spesa è destinato a soddisfare bisogni primari, ovvero beni alimentari, e spese per la casa, istruzione e salute.
Queste stime si basano su criteri di ripartizione dei consumi rilevati per l’intero nucleo tra i diversi componenti della famiglia, e “non tengono conto del fatto che i genitori potrebbero decidere di comprimere i propri consumi per soddisfare pienamente quelli della prole”, si legge nel rapporto. Bankitalia ricorda poi che dallo scorso marzo è iniziata l’erogazione dell’assegno unico e universale per rafforzare le misure di sostegno economico ai nuclei con figli.

L’importo nel 2020 si è contratto a 580 euro

L’importo, spiega ancora Bankitalia, pressoché stabile nel triennio 2017-19, si è contratto nel 2020 a 580 euro, il 12% in meno rispetto al 2019, quando i timori del contagio e le restrizioni alla mobilità connesse alla pandemia hanno fortemente ridotto la spesa per consumi, in particolare per i trasporti e per il tempo libero, riporta Askanews. In ogni caso, la spesa di 640 euro al mese per mantenere ogni figlio è pari a un quarto della spesa media di una famiglia italiana.

Al Sud meno spese per casa, tempo libero e trasporti

Durante il periodo preso in esame, si legge ancora nel rapporto, nel Mezzogiorno la spesa per ogni figlio è risultata inferiore rispetto al Centro Nord, anche se l’incidenza sulla spesa media delle famiglie è tuttavia simile nelle due macroaree. Il divario tra Sud e Nord, riferisce Agi, ha riguardato per circa un quinto le spese per la casa, che riflettono il più elevato costo degli immobili nelle regioni centro-settentrionali, e per circa due terzi i consumi meno essenziali, come tempo libero, trasporti e altro.

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Per i mutui a tasso variabile la rata aumenterà fino a 120 euro

I mutui a tasso variabile per l’acquisto di un’abitazione aumenteranno: tra gli ‘osservati speciali’ della riunione di politica monetaria della BCE c’è proprio l’annuncio sui tassi. L’aumento, previsto per luglio e settembre 2022, avrà un impatto sull’Euribor, l’indice di riferimento per i mutui a tasso variabile, e questo comporterà un aumento delle rate dei mutui degli italiani. Ma di quanto aumenteranno? Facile.it, il portale di comparazione prezzi, ha fatto alcune simulazioni, scoprendo che da qui al prossimo anno la rata mensile di un mutuo variabile medio potrebbero salire di circa 120 euro rispetto a oggi.

Oggi un tasso variabile medio è pari allo 0,85%

Per effettuare la sua analisi Facile.it ha preso come riferimento un finanziamento da 120.000 euro da restituire in 20 anni, e ha simulato i possibili cambiamenti tenendo in considerazione i cosiddetti futures sull’Euribor, che rappresentano l’aspettativa che gli operatori hanno sull’andamento dell’indice nei prossimi 5 anni. In pratica, oggi un tasso variabile medio (TAN) disponibile online per l’operazione simulata è pari a 0,85%, con una rata mensile pari a 544 euro. Secondo i futures sull’Euribor, entro la fine del 2022 l’indice Euribor a 3 mesi sfiorerà l’1% (oggi si trova a -0,30%) e questo farà salire il tasso variabile a circa il 2,20%.

Fra un anno l’indice Euribor potrebbe arrivare a circa 1,75%

La rata mensile sarà quindi più pesante di circa 75 euro. Tra dodici mesi, ovvero a giugno 2023, l’indice potrebbe arrivare a circa 1,75%, e questo farebbe salire il tasso variabile a 2,95% e la rata del muto a 663 euro. Vale a dire, quasi 120 euro in più rispetto a oggi. A dicembre 2027, fra 5 anni, le previsioni danno l’Euribor intorno al 2,10%. Se così fosse il tasso salirebbe a 3,30%, e la rata mensile a 684 euro, ovvero 140 euro in più rispetto a oggi.

Difficile fare previsioni, ma i messaggi del mercato non vanno sottovalutati

“Sebbene in periodi di grande incertezza come quello attuale sia difficile fare previsioni, è importante non sottovalutare i messaggi che arrivano dal mercato – spiega Ivano Cresto, Managing Director prodotti di finanziamento di Facile.it -. Oggi più che mai, quindi, la scelta del mutuo va affrontata con grande attenzione – prosegue Cresto -; il consiglio è di affidarsi a un consulente esperto in grado di identificare la soluzione più adatta alle esigenze dell’aspirante mutuatario”.

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Il posto di lavoro migliore? Flessibile, inclusivo e… in viaggio

Come sognano il posto di lavoro ideale i giovani Millennials (26-41 anni) e quelli della Gen Z (18-25 anni)? Per scoprirlo arriva una recente ricerca condotta da Hilton, il colosso mondiale dell’ospitalità. Si legge così che le nuove generazioni, più che al mero stipendio, sono interessate a tutta un’altra serie di parametri. Dopo la pandemia, infatti, i benefit più importanti in un nuovo lavoro sono la flessibilità degli orari o la possibilità di gestire il proprio tempo (61%), seguiti da un forte senso di squadra sul posto di lavoro (41%) nonché l’opportunità di viaggiare. Dai risultati emerge l’importanza di incontrare nuove persone, di fare esperienza in diversi ruoli e di trovare un equilibrio tra lavoro e vita privata; inoltre, le aziende con forti politiche in materia di questioni sociali e ambientali sono risultate interessanti per l’80% delle persone di età compresa tra i 18 e i 41 anni.

Fondamentale un luogo di lavoro inclusivo

Tra le motivazioni di scelta, la diversità e l’inclusione sul posto di lavoro sono più importanti per le generazioni più giovani (37%) rispetto ai millennial (26%). Complessivamente, l’indagine ha anche rivelato che un luogo di lavoro inclusivo è essenziale per l’84% dei Millennial e della Gen Z. Gli intervistati ritengono che il legame umano abbia sempre più valore in un mondo post-pandemia, con l’88% che apprezza l’interazione sociale sul posto di lavoro. Inoltre, l’87% dei giovani di età compresa tra i 18 e i 41 anni considera le politiche di salute e benessere mentale come un aspetto importante, e il 18% ha anche rivelato di aver pensato di cambiare lavoro nell’ultimo anno a causa delle preoccupazioni per la propria salute e per il proprio benessere mentale.  

Ospitalità, perchè sì

Negli ultimi 12 mesi il 49% dei Millennials e della Gen Z ha preso in considerazione la possibilità di una carriera nel settore dell’ospitalità; inoltre sono prese in considerazione, in ordine di importanza, la possibilità di apprendere nuove competenze (29%), le ampie opportunità di sviluppo personale e di carriera (28%), la varietà del lavoro (28%), l’opportunità di viaggiare (24%) e la flessibilità di dedicare tempo ad altre priorità della vita, come la crescita di una famiglia (23%). La ricerca ha individuato un divario generazionale in merito a ciò che le persone apprezzano quando si tratta di carriera, con la generazione Z che, in una percentuale quasi doppia (22%) rispetto ai millennial (13%), considera rilevanti nella scelta di un lavoro le opportunità di viaggio internazionali. I risultati hanno anche evidenziato che i lavori tradizionali, come il costruttore (5%) o il pilota (8%) sono in calo, rispetto a lavori come il creativo dei social media (17%) o il marketing specialist (18%).

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Mutui: i tassi superano il 2%

Dopo un periodo di tassi applicati ai mutui prossimi allo zero, nell’ultimo periodo hanno ripreso a salire, superando, nel caso di quelli indicizzati a tasso fisso, la soglia del 2%. Ma quanto incide, o inciderà, sulle tasche degli italiani che intendono acquistare un’abitazione E in che modo i consumatori possono tutelarsi? Dall’analisi dell’Osservatorio di Facile.it, relativa al confronto tra aprile 2022 e aprile 2021, emerge innanzitutto come vi sia un cambio dell’identikit del richiedente medio. Aumenta infatti la quota di Under 36 che hanno avviato le pratiche per ottenere un mutuo.
Inoltre, aumenta anche il peso percentuale delle richieste di finanziamento per l’acquisto della prima casa sul totale delle domande presentate. E anche in questo caso, il fattore determinante è l’incremento del numero di giovani richiedenti.

Tasso fisso: i valori dei migliori Taeg offerti al cliente sono cambiati

Come sono cambiati, da gennaio a oggi, i valori dell’indice EURIRS e dei migliori Taeg offerti al cliente? L’EURIRS (20 anni) è passato da 0,60 (4 gennaio 2022) a 1,97 (9 maggio 2022), mentre il tasso fisso al cliente (miglior Teag) è salito da 1,21% (gennaio 22) a 2,12% (maggio 22). Per chi ha già sottoscritto il mutuo a tasso fisso non cambia nulla, per chi invece deve sottoscriverlo oggi, le differenze sono importanti. Prendendo in considerazione un mutuo fisso di 126.000 euro da restituire in 25 anni (LTV 70%), a gennaio 2022 la rata mensile disponibile col miglior Taeg a tasso fisso era di 483 euro, mentre a maggio 2022 è arrivata a 528 euro: 45 euro in più al mese e 13.500 euro in più di interessi per tutta la durata del finanziamento.

Tasso variabile: torna a essere un’alternativa interessante

Per quanto riguarda il tasso variabile, l’EURIBOR a 3 mesi è passato da -0,57 (4 gennaio 2022) a -0,40 (9 maggio 22) e i tassi proposti all’aspirante mutuatario (miglior Taeg) sono variati da 0,72% (gennaio 22) a 0,75% (maggio 22). Considerando un mutuo di 126.000 euro da restituire in 25 anni (LTV 70%), lo scorso gennaio la rata mensile disponibile col miglior Taeg era di 456 euro, valore rimasto invariato anche a maggio. Il tasso variabile, quindi, torna a essere un’alternativa interessante rispetto a quello fisso, dal momento che la rata di partenza è inferiore di 72 euro.

Difficile fare previsioni sul fronte del mercato immobiliare

Per i tassi fissi, guidati dall’IRS, bisogna guardare all’andamento del Bund tedesco, mentre per quelli variabili, guidati dall’Euribor, sarà determinante la politica monetaria della BCE, e l’eventuale decisione di aumentare il costo del denaro.
Difficile fare previsioni sul fronte del mercato immobiliare, il primo a essere impattato dai movimenti degli indici legati ai muti. Se da un lato l’aumento dei tassi potrebbe incidere negativamente sulla richiesta di case, che alla lunga, potrebbe tradursi in un calo dei prezzi, dall’altro lato va evidenziato che in momenti di instabilità il ‘mattone’ diventa per tanti un bene rifugio, e questo potrebbe avere un effetto opposto sui prezzi. Ma sarà anche fondamentale guardare a come cambieranno le prospettive di crescita economica del Paese per i prossimi mesi.

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In due anni raddoppia il mobile messaging dalle software house

In questi ultimi due anni, la crescita dell’e-commerce, dello smart working e dei servizi di delivery ha portato con sé la necessità di comunicare in modo efficace e rapido in diverse situazioni. Complici anche la pandemia e i cambiamenti negli stili di vita, l’impiego di soluzioni di mobile messaging da parte delle software house è quasi raddoppiato. Da parte degli utenti è infatti aumentata notevolmente la richiesta di integrare soluzioni di mobile messaging all’interno di gestionali e altri applicativi.

Nel 2021 sono stati inviati oltre 96 milioni di messaggi
In base ai dati di Esendex, business provider per le soluzioni per la comunicazione mobile, nel 2021 sono stati inviati dalle software house oltre 96 milioni di messaggi, con un incremento superiore al 180% rispetto al periodo precedente la pandemia.
Nell’ultimo periodo in effetti sono aumentate anche le occasioni in cui occorre comunicare in modo veloce ed efficace con la clientela, e di conseguenza è significativamente cresciuta anche la domanda di poter integrare all’interno di gestionali e altri applicativi soluzioni di mobile messaging.

Notifiche, reminder, sicurezza e promozioni
Analizzando i dati più in profondità, emerge che il massiccio utilizzo da parte delle software house di strumenti di comunicazione mobile, tra cui SMS, omnichannel chat e altri, nel 37,7% dei casi è stato relativo all’invio di notifiche e reminder, come, ad esempio, promemoria di appuntamenti, aggiornamenti su servizi, conferme di ordini e avvisi di consegna.
Oltre a notifiche e promemoria, il boom dell’utilizzo del mobile messaging è legato poi anche al costante aumento dei messaggi con i codici per l’autenticazione a due fattori, password o altre comunicazioni nell’ambito della sicurezza, che rappresentano un buon 20,07%. A questi, fanno seguito i messaggi per promuovere le flash sales, gli inviti a eventi e le attività di drive to store e drive to web, che insieme rappresentano il 18,14% del totale.

Gestire la comunicazione mobile dall’interno dei gestionali
“Negli ultimi due anni, a seguito della forte crescita dell’e-commerce, dello smart working e dei servizi di delivery, chi si occupa di sviluppo software ha assistito a un notevole incremento delle richieste dei clienti di poter gestire la comunicazione mobile dall’interno dei loro gestionali, facendo esplodere la domanda delle nostre soluzioni – dichiara Carmine Scandale, Head of Sales di Esendex Italia -. Per le software house rappresentiamo da sempre un partner strategico poiché consentiamo loro di garantire l’affidabilità e i livelli qualitativi che solamente il leader a livello europeo nell’ambito della messaggistica è in grado di poter offrire. A tutto ciò si aggiunge la tranquillità di poter contare su API rest universali costantemente aggiornate, e grazie ai nostri server server ridondanti su due serverfarm, anche sui più elevati livelli di sicurezza”.

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La conoscenza dell’inglese sempre più importante per trovare lavoro

Ma dove vai se l’inglese non lo sai? Potrebbe essere questo il nuovo motto di chi cerca un lavoro in Italia. Anche nel nostro Paese, infatti, la conoscenza dell’inglese è una competenza sempre più richiesta da chi offre possibilità d’impiego. Questa competenza è particolarmente richiesto nel settore delle vendite (14%), nei mestieri specializzati (13%) e nell’hospitality ed eventi (11%). Per quanto concerne la richiesta di conoscenza dell’inglese, il divario tra Nord e Sud del Paese è molto ampio. È quanto emerge dallo studio condotto da Ef English Live – fa parte di EF Education First, l’azienda privata specializzata nel settore della formazione internazionale – che ha raccolto e analizzato circa 10.200 annunci di lavoro dai principali siti italiani che inserivano l’inglese tra le top competenze richieste. Sono stati analizzati in profondità ruoli, posizioni e anzianità in maniera tale da individuare i settori in cui questa lingua universale richiede maggiore utilizzo. Si tratta di uno studio dettagliato con l’obiettivo di avere una panoramica delle competenze richieste, tenendo presente anche il fattore geografico, e quindi in quali regioni italiane c’è più richiesta di conoscenza dell’inglese.

Una lingua universale e trasversale

Negli ultimi anni, si è data per scontata la conoscenza della lingua inglese, ma probabilmente senza andare a fondo su quelli che sono i ruoli in cui è particolarmente richiesto. E se appare ormai quasi un requisito naturale per un addetto al marketing, sorprende come sia sempre più richiesto per un impiegato amministrativo, al primo posto della speciale graduatoria di EF English Live, con almeno un livello intermedio (nel 59% dei casi). Probabilmente questo accade per via della globalizzazione e dell’ampliamento del mercato. Lo stesso accade agli sviluppatori, sempre più alle prese con un linguaggio tecnico in lingua inglese. Sul podio anche i tecnici di manutenzione: avendo a che fare con macchinari o strumentazioni provenienti dalle grandi fabbriche, hanno istruzioni e comandi nella lingua universale. Il livello desiderato per la maggior parte dei ruoli ricoperti da amministrativi, sviluppatori e tecnici è quello medio. Se prendiamo in considerazione il quadro europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue, il livello richiesto è compreso tra il B1 e il B2. Per quanto riguarda i livelli più alti di conoscenza della lingua, ovvero il livello C1 e C2, vanno prese in considerazione quelle professioni quali: ingegnere (professione in forte sviluppo e che richiede sempre più competenze linguistiche), lavoratori del marketing e receptionist.

La regione che più chiede la conoscenza dell’inglese? L’Emilia Romagna 

Un dato racconta il primato del settore vendite. Secondo lo studio di EF English Live infatti, in questo ramo c’è una probabilità tre volte più alta che l’inglese venga richiesto come requisito fondamentale rispetto al settore IT, in particolare al nord con il 62% dei casi. Anche per i mestieri qualificati è particolarmente richiesta la conoscenza della lingua più parlata al mondo. Anche qui il nord fa la parte del leone: 61% contro il 14% del sud e il 25% del centro Italia. Segue poi il settore dell’hospitality e degli eventi: l’11% dei 1168 annunci analizzati pone come requisito fondamentale la conoscenza dell’inglese.
È l’Emilia Romagna la regione in cui è più richiesta la lingua inglese: sono stati analizzati 1077 annunci, l’11% dei quali ne richiedeva la conoscenza. Sul podio fa notizia l’assenza della Lombardia: ci sono Piemonte (10% su 1046 annunci) e Toscana (10% su 1031). In coda Calabria, Valle d’Aosta e Basilicata (unica regione a 0%). Dati che probabilmente sono condizionati da una minore offerta di lavoro e prevalentemente legata a mestieri in cui l’inglese non è particolarmente utilizzato.

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Le aziende credono nella digital transformation

A causa della crisi nel reperimento delle materie prime molti settori industriali stanno rallentando la produzione. Oltre a mercati resi incerti dalla guerra in corso, lo scenario si complica per la coda lunga della crisi pandemica e i primi segnali di inflazione. Ma digital transformation e green revolution sono i trend che guidano il mondo dell’impresa nel 2022. Sul primo fronte le aziende venete, campioni di un’analisi, hanno iniziato a lavorare e a investire da molto tempo, mentre sulla sostenibilità si è partiti più di recente, ed è questo il focus per i prossimi anni. È quanto emerge da uno studio condotto da Fòrema, ente di formazione di Assindustria VenetoCentro, su un campione di 172 aziende venete, piccole, medie e grandi.

Come cambierà l’impresa nei prossimi tre anni?

Ma come cambierà l’azienda nei prossimi tre anni in termini di attività, funzioni e relazioni organizzative? Il 30% delle aziende intervistate, in maggioranza appartenente al settore industriale e metalmeccanico, prevede un aumento delle attività, e il 17% si aspetta un cambiamento radicale dell’azienda, contro il 16% che si aspetta una struttura organizzativa sostanzialmente simile a quella attuale. In termini assoluti prevale l’aspettativa di prossime modifiche a processi, attività e modelli di lavoro (15%), e solo il 2% dichiara di non essere in grado di fare previsioni. Le grandi aziende prospettano trasformazioni più radicali rispetto alle Pmi, sia in termini quantitativi (aumento di funzioni/attività o focalizzazione) sia qualitativi (nuovi processi e relazioni).

Si punta a nuove professionalità

Per affrontare la situazione, le aziende puntano a nuove professionalità. In molti stanno assumendo nuovi Chief Technology Officer-IT manager, tecnici capaci di individuare le migliori tecnologie da applicare ai prodotti o ai servizi che l’azienda produce. Anche i Digital manufacturing manager sono profili su cui puntano le imprese, profili che nei processi produttivi sappiano usare le innovazioni.
Su tutte, però, emerge l’attenzione per figure capaci di riprogettare e pianificare la produzione e la gestione dei flussi di materiali in ingresso e in uscita sulle linee produttive. In questo periodo di crisi dei costi dei materiali sono infatti figure fondamentali per mantenere redditizio il ciclo produttivo.

Digitalizzazione e sostenibilità

In tema di digitalizzazione, il 52% delle aziende dichiara di aver già realizzato interventi formativi per adeguare le competenze in ambito digitale. Solo il 25% dichiara azioni scarse o nulle in quest’ambito.
I processi di digitalizzazione hanno coinvolto la maggior parte delle aziende intervistate, anche se tali processi riguardano prevalentemente i settori progettazione e direzionale, e in minor parte i profili più operativi. Sul tema della sostenibilità, invece, meno della metà delle aziende (42%) dichiara di aver realizzato azioni specifiche per dotarsi di competenze per una maggiore sostenibilità d’impresa. Di queste, il 15% parla di azioni complete e concluse, e il restante 27% riferisce azioni incomplete.
Il campione di aziende che invece dichiara di non aver ancora fatto nulla in tema di sostenibilità si attesta al 37%.

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