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Rapporto Censis: il vero e il falso della comunicazione

Nell’era biomediatica, alcuni mezzi sono in grado di raccogliere un vasto pubblico e rispondere alle diverse esigenze comunicative. Secondo il 19° Rapporto sulla comunicazione del Censis, a svolgere questo compito è ancora la televisione, ma è la radio che continua a rivelarsi all’avanguardia all’interno dei processi di ibridazione del sistema dei media.
Nel 2023 a guardare la tv è il 95,9% degli italiani (+0,8%) e il 56,1% la tv via internet (+3,3%). Il vero boom però è della mobile tv, passata dall’1,0% di spettatori nel 2007 al 33,6%.

Nell’era del politically correct, per gli italiani (75,8%) i media non dovrebbero mai usare espressioni ritenute offensive o discriminatorie da alcune categorie di persone. Ma quando si passa alla vita quotidiana, il 69,3% è infastidito dal fatto che ci sia sempre qualcuno che si offende se si pronuncia qualche frase ritenuta inopportuna.

Consolidamento di internet, smartphone, social network

Tra il 2022 e il 2023 si registra un consolidamento dell’impiego di internet (89,1% di utenza, +1,1%), e si evidenzia una sovrapposizione quasi perfetta con quanti utilizzano gli smartphone (88,2%), e molto prossima agli utilizzatori di social network (82,0%).

E se per i media a stampa si accentua ulteriormente la crisi ormai storica, a cominciare dai quotidiani cartacei venduti in edicola, tra i giovani (14-29 anni) il 93,0% utilizza WhatsApp, il 79,3% YouTube, il 72,9% Instagram, il 56,5% TikTok.
In lieve flessione, oltre a Facebook, anche Spotify e Twitter. Colpisce la discesa di Telegram (dal 37,2% del 2022 al 26,3%) e Snapchat (dal 23,3% all’11,4%).

AI: l’incertezza sul futuro 

Il 74,0% degli italiani ritiene che gli sviluppi dell’Intelligenza artificiale al momento siano imprevedibili. In percentuali pressoché analoghe vengono espressi giudizi sia ottimistici sia pessimistici sugli effetti che l’AI potrà produrre.
Tra gli ottimisti, il 73,2% pensa che le macchine non potranno mai sviluppare una vera forma di intelligenza come gli umani, tra i pessimisti, il 63,9% teme che sarà la fine dell’empatia umana.

Allarmisti anche quanti credono che non sapremo più distinguere il vero dal falso, con grandi rischi per le democrazie (68,3%), e c’è chi pensa che sarà la fine della privacy perché saremo tutti controllati dagli algoritmi (66,3%).

Carta stampata in crisi perenne, segnali di ripresa per i libri

Per i media a stampa si accentua ulteriormente la crisi ormai storica, a cominciare dai quotidiani cartacei venduti in edicola. Nel 2007 erano letti dal 67,0% degli italiani, nel 2023 dal 22,0% (-3,4% in un anno e -45,0% in quindici anni).
Si registra ancora una limatura dei lettori di settimanali (-1,7%) e mensili (-2,8%), e diminuiscono anche gli utenti dei quotidiani online (30,5%, -2,5% in un anno), mentre sono stabili quanti utilizzano i siti web d’informazione (58,1%, +21,6% dal 2011).

Nel 2023 però si arresta l’emorragia di lettori di libri. Gli italiani che leggono libri cartacei sono il 45,8% (+3,1% rispetto al 2022 ma -13,6% rispetto al 2007). La ripresa non riguarda i lettori di e-book, che rimangono stabili al 12,7% (-0,6%).

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Cosa vogliono gli italiani? La settimana corta al lavoro

Il desiderio espresso è quello di avere più tempo per se stessi, la propria famiglia e le proprie passioni. Anche a costo di sacrificare un po’ di guadagno.
Ecco, in sintesi, cosa vogliono gli italiani: un equilibrio ottimale tra vita lavorativa e privata. Analizzando la situazione lavorativa in Italia, uno studio recente condotto da ASSIRM, l’associazione delle principali aziende di ricerche di mercato per Confindustria Intellect, ha rivelato che oltre il 55% dei lavoratori italiani sarebbe disposto a ridurre il proprio stipendio in cambio di un giorno libero aggiuntivo ogni settimana. 

Un desiderio più sentito dai giovani

La propensione ad avere più tempo libero aumenta al 62% tra i giovani lavoratori compresi tra i 25 e i 34 anni. La prospettiva di una “settimana corta”, pratica comune in molti paesi e attualmente oggetto di una proposta di legge in Italia, sembra essere diventata una delle richieste principali dei lavoratori.

Il rapporto, intitolato “La nuova relazione con il mondo del lavoro”, evidenzia un trend in rapida evoluzione, con una significativa accelerazione durante e dopo la pandemia: il 63% delle persone dichiara di avere nuove aspettative nei confronti del lavoro, una percentuale che aumenta al 70% nella fascia di età 25-34 anni e addirittura al 77% tra i giovani appena inseriti nel mondo del lavoro (18-24 anni).

I settori professionali più ambiti? IT e servizi digitali 

Per quanto riguarda i settori lavorativi, secondo il rapporto, il settore dell’IT e dei servizi digitali risulta essere il più ambito (38%), seguito da marketing (34%) e comunicazione (30%). Emergono notevoli differenze tra le diverse fasce di età, con i giovani che preferiscono il settore del marketing e i lavoratori più anziani orientati verso l’IT e il digitale.
Tra le posizioni lavorative più desiderate, quella di venditore occupa il primo posto (29%), seguita da project manager (27%), gestore delle risorse umane (26%), programmatore (25%) e responsabile marketing (24%).

Una sfida per il mondo del lavoro

Matteo Lucchi, presidente di ASSIRM, sottolinea come “nel mondo del lavoro, ora più che mai, si stiano scontrando approcci differenti in termini di attitudine e finalità. Questa situazione rappresenta una sfida per la gestione, ma costituisce anche un elemento arricchente, introducendo variabilità e risorse intrinseche. Tale diversità può contribuire a differenziare e migliorare l’ambiente di lavoro, considerata la nuova consapevolezza acquisita. Tuttavia, le esigenze delle aziende non sempre riescono a soddisfare le aspettative e le ambizioni dei lavoratori. Si osserva una crescente disparità tra domanda e offerta di lavoro, specialmente in termini di competenze di base, esperienza e disponibilità a lavorare oltre gli orari standard o a gestire livelli di stress crescenti”.

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Voto in condotta più “pesante”? Gli italiani dicono sì

Gli italiani stanno sostenendo la riforma del voto in condotta proposta dal Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara. Secondo un sondaggio condotto da Quorum/YouTrend per Sky TG24, il 76% degli intervistati ha accolto positivamente l’idea di dare maggiore peso al comportamento degli studenti nella valutazione scolastica, considerando il loro comportamento come parte integrante dei crediti per l’esame di maturità. Inoltre, l’idea di far scattare un debito scolastico in educazione civica in caso di voto insufficiente (6) ha incontrato il favore dei nostri connazionali.

Favorevoli tre italiani su quattro

Questa proposta ha ricevuto l’appoggio di tre italiani su quattro, con una leggera variazione in base all’età. Tra i giovani tra i 18 e i 34 anni, il 65% è favorevole, mentre tra i 35 e i 54 anni l’approvazione sale all’82%, e tra coloro che hanno 55 anni o più, il 77% è favorevole. Questo suggerisce che la maggioranza delle diverse fasce d’età sostiene la riforma. Inoltre, anche la figura del “docente tutor,” introdotta recentemente, ha ricevuto un buon grado di approvazione da parte degli italiani. Il 66% degli intervistati si è detto ben disposto nei confronti di questa figura che aiuta gli studenti nel processo di orientamento, mentre solo il 21% si è opposto.Anche qui, le preferenze variano leggermente in base all’età, con il 63% dei giovani tra i 18 e i 34 anni favorevole, il 67% dei 35-54 anni favorevole, e il 66% degli over 55 favorevole. Nonostante alcune differenze generazionali, la figura del docente tutor sembra essere ben accolta dall’opinione pubblica.

Le novità? Hanno consensi bipartisan

Interessante notare che queste novità nel sistema scolastico sembrano essere bipartisan, con un sostegno significativo da parte di elettori di diversi schieramenti politici. Ad esempio, l’84% degli elettori di Fratelli d’Italia ha accolto favorevolmente la proposta del voto in condotta, mentre anche il 75% degli elettori del Movimento 5 Stelle e il 72% degli elettori del Partito Democratico hanno espresso un parere positivo. Analogamente, il docente tutor ha ricevuto il sostegno del 77% degli elettori del Movimento 5 Stelle, dell’80% degli elettori di altri partiti di centrodestra e del 68% degli elettori del Partito Democratico.

Riforma del voto in condotta e tutor? Promossa

In sintesi, la riforma del voto in condotta e l’introduzione del docente tutor sembrano essere ben accettate dalla maggior parte degli italiani, indipendentemente dall’età o dall’orientamento politico. Queste iniziative potrebbero portare a un cambiamento significativo nel sistema educativo italiano, con l’obiettivo di migliorare il comportamento degli studenti e il loro processo di apprendimento.

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Dopo la pandemia gli italiani assicurano le mura domestiche: cosa è accaduto?

Forse è l’abitazione uno dei luoghi mutati più profondamente nel corso di questi ultimi 3 anni. Se prima la casa era vista come mero ambiente in cui stazionare nelle ore notturne o durante il weekend, complice pandemia e lavoro agile è divenuta protagonista di una trasformazione che l’ha portata a essere ben più che un rifugio. La casa, oggi, si abita e si vive, è luogo di riposo e sinonimo di accoglienza, è ufficio, ma anche luogo di incontro e relax. Vivere maggiormente l’abitazione, al pieno delle proprie potenzialità, ha restituito, tuttavia, anche conseguenze in termini di sicurezza. Tanto che oggi aumenta il numero di chi vuole assicurare le mura domestiche.

La casa come porto sicuro

Un dato che non sorprende: già nel 2022, come confermato dal report ‘L’assicurazione Italiana’, rilasciato dall’Associazione Nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA), emergeva un aumento di richieste di sottoscrizione di contratti assicurativi a protezione della casa. Secondo lo studio, infatti, solo a marzo dello scorso anno è stato registrato un aumento del +14,4% nel ramo danni rispetto al periodo pre-pandemico.
Un dato che già allora restituiva una fotografia puntuale delle nuove necessità degli italiani, figlie di due anni di incertezza in cui la casa si è trasformata da luogo in cui trascorrere la notte a porto sicuro.

Cosa è cambiato in tre anni?

E dopo 3 anni gli italiani hanno ben chiaro in mente quale sarà la casa del futuro: green, tecnologica, cyber sicura. Se durante il lockdown l’abitazione era diventata una prigione dorata, oggi la percezione delle persone è cambiata, e con essa anche il modo di vivere il proprio ambiente domestico.
Questo è quanto emerge anche da una ricerca BVA-Doxa promossa da Groupama Assicurazioni per l’Osservatorio Change Lab, Italia 2030, che monitora e analizza i principali trend che modificheranno il modo di vivere degli italiani nel corso dei prossimi dieci anni, nonché il loro impatto su economia, ambiente e sviluppo del Paese.

Un luogo polifunzionale in cui la parola chiave è condivisione

Per il 73% degli intervistati, oggi la casa è un luogo polifunzionale in cui la parola chiave è ‘condivisione’, di spazi, momenti, esperienze, ma anche un investimento sicuro (35%) da lasciare in eredità ai figli a garanzia di un futuro più roseo (46%). Gli italiani sono un popolo di proprietari di casa (il 79% del campione dichiara di possederne una), ne percepiscono l’importanza e sentono l’esigenza di proteggerla. Sono 8 su 10, infatti, gli italiani che sostengono il valore di un’assicurazione sulla casa. E il 54% ha già provveduto a stipularne una.

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Cambiano le regole del dating: per GenZ parola d’ordine autenticità

La GenZ sta riscrivendo le regole e gli standard delle generazioni precedenti rispetto alle relazioni. Circa l’80% di chi ha 18-25 anni considera il proprio benessere una priorità quando frequenta qualcuno, e il 79% ritiene che i potenziali partner debbano condividere questo tipo di approccio.
Non solo: il 75% di giovani single conferma di trovare più attraente un match che lavora sulla propria salute mentale. Sono alcuni dati emersi dal report The Future of Dating 2023, ‘A Renaissance in Dating, Driven by Authenticity’ di Tinder. Con il ritorno alla normalità dopo la pandemia, il report di quest’anno individua nuovi trend e abitudini nel dating, costruite su tre pilastri fondamentali: inclusività, tecnologia, e soprattutto, autenticità.

Creare connessioni senza filtri e maschere

Insomma, la GenZ dà più importanza a relazioni basate su valori come fedeltà (79%), rispetto (78%), mentalità aperta (61%), e meno sull’aspetto fisico (56%). In pratica, la GenZ è disposta a mostrare la propria personalità senza filtri e maschere, prendere o lasciare. Quando si tratta di appuntamenti, creare connessioni reali e autentiche rimanendo fedeli al proprio io è in cima alle priorità dei giovani su Tinder. E avere idee e opinioni chiare è fondamentale. In questo, l’alcol, o meglio la sua mancanza, gioca un ruolo cruciale. Il 72% degli iscritti a Tinder afferma sul profilo di non bere alcolici o di farlo solo occasionalmente.

No a giochetti e strategie di conquista

Inoltre, giochetti e strategie di conquista non fanno parte della indole dei GenZ, che rispetto ai dater di età superiore hanno il 32% in meno di probabilità di sparire con una persona, il cosiddetto ‘ghosting’.
Inoltre, il 77% degli utenti di Tinder risponde a una persona che gli interessa nel giro di 30 minuti, il 40% in massimo 5 minuti e più di un terzo immediatamente. Un dato interessante se confrontato con il modo in cui i Millennial consideravano gli appuntamenti 10 anni fa. Il 73% di chi oggi ha tra 33-38 anni concorda che le strategie di conquista (farsi desiderare, dare segnali poco chiari, sondare il terreno) erano considerate la normalità quando avevano 18-25 anni, mentre oggi non lo sono più.

Tinder: un luogo sicuro  

Ora ciò che effettivamente conta sono le persone, ciascuna con la propria unicità. L’80% dei membri di Tinder afferma di aver conosciuto e incontrato una persona di un’altra etnia o cultura
Due terzi degli utenti (circa il 66%) ammette che grazie a Tinder ha potuto conoscere e frequentare gente al di fuori della propria cerchia sociale, riporta Adnkronos, conoscendo persone che altrimenti non avrebbe mai potuto incontrare nella quotidianità. Questo dato è rilevante anche per i membri della comunità LGBTQIA+, che riconoscono Tinder come un luogo sicuro in cui fare coming-out, ancora prima di farlo con familiari o amici.

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Per fare un figlio bastano da 500 a 1.000 euro al mese

Per fare un figlio le coppie italiane vorrebbero avere un’entrata mensile tra i 500 e i 1.000 euro al mese, a seconda del reddito, almeno fino al termine della scuola primaria del bambino. Non servono quindi meccanismi fiscali o sostegni complessi. È quanto è emerso da un sondaggio realizzato dalla Società di diagnosi prenatale e medicina materno fetale a 425 persone, di cui 270 donne in età fertile e 155 coppie, durante consulenze cliniche ginecologiche avvenute da gennaio 2023 a oggi. L’indagine ha chiesto agli intervistati quali tra bonus vigenti, detassazione, rafforzamento degli attuali sostegni sociali, ad esempio, per l’acquisto di libri, per asili, o congedi parentali, e un contributo di 500-1.000 euro a figlio, secondo il reddito, quale fosse la misura di sostegno più convincente. E che farebbe, quindi, decidere alle coppie di allargare la famiglia.

Le giovani coppie vogliono un sostegno economico per ogni nuovo nato 

Secondo il sondaggio, i bonus vigenti sono stati considerati assolutamente insufficienti, come insufficiente è considerata la detassazione e irrilevanti i sostegni sociali. Il contributo di 500-1.000 euro a figlio ha avuto invece il 100% dei consensi.
“È apparso evidente che le giovani coppie hanno le idee chiare su cosa permetterebbe loro di decidere di mettere al mondo un bambino – ha commentato Claudio Giorlandino, ginecologo e presidente della Società di diagnosi prenatale e medicina materno fetale -: ovvero un sostegno economico serio per ogni figlio”. 

I figli sono una ricchezza: garantiscono il futuro e muovono l’economia

Invece di erogare euro a pioggia, “si dovrebbero sostenere con denaro nelle tasche per ogni figlio quelle 50.000, 100.000 coppie che, per oggettivi limiti reddituali, non si possono permettere un bambino – ha aggiunto Giorlandino -. I figli sono una ricchezza, oltre a garantire il futuro, muovono l’economia. Si comincerebbero a vedere, di nuovo, per le strade le pubblicità dei prodotti dell’infanzia che stanno scomparendo, sostituite da una pletora di cartelloni gallows humor, macabri e imbarazzanti richiami per agenzie di pompe funebri”.

“Nascono 300 mila italiani a fronte di 800 mila decessi”

Giorlandino ha invitato quindi a “non dimenticare che nascono solo 300.000 italiani a fronte di circa 800.000 decessi: stiamo perdendo oltre 500.000 connazionali all’anno. Tra pochi decenni non ci saranno più italiani. Si perderà quel meraviglioso popolo che da oltre 2.000 anni è un faro di civiltà, cultura e progresso per tutta l’umanità. Qui non si tratta di evocare una complottistica ‘sostituzione etnica, ma è evidente che stiamo scomparendo”.

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Due italiani su tre hanno lo Spid

Oggi il 63% della popolazione maggiorenne è in possesso di Spid (Sistema Pubblico di Identità Digitale), ovvero due italiani su tre. Si tratta di un incremento del 30% rispetto alla medesima rilevazione condotta a settembre 2021. Tuttavia, nonostante la maggiore diffusione, la distribuzione non è omogenea né per fasce d’età né per area geografica. Tutti i ragazzi della fascia 18-24 anni possiedono Spid, situazione molto diversa tra gli oltre 75 anni dove meno di 1 su 4 ha attivato la propria identità digitale. Anche a livello geografico, ci sono molte differenze: si passa dal record del Lazio, dove il 74% della popolazione ha SPID, seguito da Lombardia (70%) ed Emilia-Romagna, Campania e Piemonte (62%), fino agli ultimi posti di Calabria (54%), Marche (53%) e Molise (con il 52%). In Italia, tuttavia, non esiste solo SPID, ma cresce anche la diffusione della Carta d’Identità Elettronica: 31,3 milioni di cittadini sono in possesso del documento, +29% rispetto a settembre 2021. Questi livelli di diffusione posizionano l’Italia già oltre gli obiettivi definiti nel PNRR per il 2024, raggiunti quindi con ben due anni di anticipo. 

Cosa succede in Europa

A livello europeo, i sistemi di identità digitale che negli scorsi anni stavano attraversando una fase di rapido sviluppo hanno continuato il percorso di consolidamento e diffusione tra utenti e aziende, anche se il ritmo di crescita sta progressivamente rallentando. Analizzando i sistemi digitali non basati su Smart Card, si passa dal 95% della popolazione raggiunto in Olanda con il sistema DigiD, seguito dal 79% in Norvegia e il 78% in Svezia con BankID, fino al 9% raggiunto in Repubblica Ceca con MojeID. L’Italia, con Spid (54% del totale della popolazione), raggiunge buoni risultati di diffusione, con tassi di crescita paragonabili a quelli del sistema francese FranceConnect (59%) e del belga itsme (56%). Nel settore si sta facendo strada quella che potrebbe essere una vera e propria rivoluzione, spinta anche dal cambio normativo in atto: il mercato dell’identità digitale sta migrando verso il concetto di wallet, che consente di integrare credenziali, certificazioni, pass e altri attributi in un unico strumento nelle mani degli utenti. Sono i risultati della ricerca dell’Osservatorio Digital Identity della School of Management del Politecnico di Milano, presentata durante il convegno “Digital Wallet: identity (r)evolution”.

Gli accessi a Spid

Per Spid prosegue la crescita degli accessi osservata negli scorsi anni, anche se si è ancora lontani da un utilizzo strutturale e quotidiano. Nel 2022 SPID è stato mediamente utilizzato dagli italiani 25 volte l’anno (crescita del 14%), contro le 22 del 2021 e le 9 del 2020. Emerge un utilizzo sempre meno trainato da obblighi normativi, come l’accesso al cashback o al proprio greenpass, e sempre più spinto in modo “organico” da servizi chiave per il cittadino. Nel 2022 ci sono stati importanti sviluppi anche sul piano normativo. È stato definito il ruolo dei soggetti aggregatori di servizi privati, semplificando il processo di adesione per le aziende da un punto di vista amministrativo e tecnologico. Sono state emanate linee guida per i gestori di attributi qualificati (come albi professionali e università), che potranno certificare qualifiche da integrare nel set di dati presente in Spid. 

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Casa, come la vivono gli italiani?

La casa sempre più centrale nell’esistenza dei nostri connazionali: lo dice la quinta edizione di CasaDoxa 2022, l’Osservatorio nazionale sugli italiani e la casa di BVA Doxa che fotografa i cambiamenti in atto nella società e nelle case degli italiani, intervistando ogni anno un campione rappresentativo di 7.000 famiglie.

Spazi e voglia di cambiare

Quali sono le principali evidenze emerse dall’Osservatorio? Cosa vogliono gli italiani in merito alla casa? Rispetto agli anni precedenti, 1 milione di famiglie in più si è messo in movimento per cambiare la propria abitazione e 700.000 famiglie in più si sono dotate di una seconda casa, in affitto o in proprietà.
Gli italiani cercano più spazi, interni ed esterni con un incremento del 36% che desidera una stanza in più e del 12% che vuole un terrazzo o un giardino, dichiarandosi disponibili ad allontanarsi dal centro, pur di avere più spazio. C’è una maggiore apertura nei confronti di soluzioni innovative per l’approvvigionamento energetico, con 6 persone su 10 che si dicono propense ad aderire ad una comunità energetica nel proprio condominio o nel quartiere, qualora questa si costituisse.

Attenzione all’ambiente (e alla bollette)

Un’altra novità che emerge dalla ricerca è che i nostri connazionali si dichiarano sempre più attenti ai temi dell’ambiente. Una sensibilità che si traduce in gesti concreti e quotidiani: il 78% dichiara di spegnere le luci ogni volta che esce da una stanza (+18% rispetto al 2019); il 72% utilizza lavastoviglie e lavatrici solo quando sono a pieno carico (+24%); il 66% sceglie prodotti ad alta efficienza energetica (+21%) e il 57% tiene il riscaldamento al minimo (+34%). Il dato più significativo è che il 68% degli italiani passa più tempo in casa facendo anche attività che prima non faceva: +33% a pranzo, +36% a cena, +42%, a guardare film e serie tv, +31% a lavorare e +26% a fare fitness e tenersi in forma. “Tutti i cambiamenti che abbiamo dovuto affrontare – ha detto Paola Caniglia, Head of Living & Retail di BVA Doxa – hanno ridisegnato le nostre case, il nostro modo di viverle e, soprattutto, la nostra relazione con esse. La casa ha assunto una forte rilevanza perché diventa il fulcro del nostro nuovo progetto esistenziale. Una diversa attenzione al tempo, al lavoro, al digitale, alla sostenibilità hanno messo in discussione i nostri tradizionali percorsi di vita e ci indica che è in corso un ribaltamento della prospettiva gravitazionale casa-lavoro”.

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Italiani più vecchi, ed è boom per le creme antietà

Se in piena pandemia i prodotti più usati erano quelli per disinfettare le mani, ora in calo del -33% di vendite nella grande distribuzione, levando le mascherine abbiamo visto quanto siamo invecchiati. Creme, maschere e gel antirughe nell’ultimo anno sono tra i preferiti nei carrelli della spesa degli italiani. Lo skincare è infatti una categoria tra le più vendute, e anche quella che sta subendo un veloce processo di ‘democratizzazione’ verso prezzi più bassi e qualità più elevata. I prodotti dedicati allo skincare pesano infatti per oltre il 17% dei consumi di cosmetici degli italiani, con 1.510 milioni di euro spesi e una crescita dei consumi del +9,3%. Lo segnalano gli analisti NielsenIQ che hanno partecipato alla presentazione del 54° rapporto annuale a cura del Centro Studi di Cosmetica Italia, l’associazione nazionale delle imprese cosmetiche.

Nuove marche si affacciano sul mercato

“Stiamo invecchiando – dichiara Alessandra Coletta, analista NielsenIQ – e nei prossimi dieci anni il cambiamento sarà ancora più evidente, con un picco che si sposterà a 56-70anni. Questo significa che le industrie beauty si dedicheranno sempre di più alle famiglie più vecchie e meno verso quelle con bambini”.
Nonostante le fragranze stiano trainando i fatturati in termini di valori in tutti i paesi europei, “si tratta di un effetto legato a diversi elementi, in primis l’aumento dei prezzi – precisa Sylvie Cagnoni, di NDP -. La vera rivelazione dell’anno sono i prodotti dello skincare, che in termini di volumi sono la categoria più dinamica, crescendo in termini di pezzi venduti con nuove marche e un posizionamento più democratico”.

La democratizzazione dello skincare si vede anche in profumeria

La cura della pelle è quindi al centro delle nostre attenzioni e trova risposte soprattutto sui social. TikTok, Instagram e Youtube sono le piattaforme più battute da influencer e celebrities per spiegare i vantaggi dei loro nuovi brand ‘democratici’. La democratizzazione dello skincare si vede anche in profumeria, trainata da nuovi brand, emergenti, innovativi e spesso ideati dalle celebreties che hanno invaso il mercato. Questo significa prezzi più bassi, ma anche creme originali, ben formulate ed efficaci, che si affiancano ai sieri di brand iconici riconosciuti in tutto il mondo, ma dai prezzi molto più alti, riporta Ansa.

Ingredienti e ‘ricerca’ scientifica i componenti fondamentali dei prodotti

Insomma, i nuovi brand specializzati in skincare stanno sfidando i marchi più rinomati puntando all’aspetto clinico, ovvero all’uso di ingredienti testati, con una solida base scientifica e clinica, frutto di tecnologia e ricerca. Ingredienti e ‘ricerca’ scientifica sono quindi le componenti fondamentali dei prodotti.
“Poi ci sono i prodotti ideati per pelli sensibili, per la difesa della pelle in città inquinate, contro le aggressioni climatiche – continua Cagnoni -. I nuovi sieri si fondono anche col make-up con la nascita di prodotti ad effetto ‘glow’, ibridi tra trattamento e trucco, che scalzano i classici fondotinta”.

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Welfare familiare e valore sociale del lavoro domestico in Italia

Per l’assistenza a un familiare anziano o non autosufficiente, il 58,5% delle famiglie italiane non esita a scartare il ricorso a una Rsa (Residenza sanitaria assistenziale), preferendo l’assunzione di una badante. Solo il 41,5% prende in considerazione la scelta di una Rsa: di queste, il 21,3% si rivolgerebbe a una struttura convenzionata, il 14,2% privata, e il 6,0% pubblica. È quanto emerge dal report Le famiglie, il lavoro domestico, i caregiver, le Rsa, elaborato nell’ambito del progetto Welfare familiare e valore sociale del lavoro domestico in Italia, realizzato dal Censis per Assindatcolf, l’Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico. Secondo il report le donne mostrano l’orientamento più marcato a evitare una Rsa (60,1% vs 56,1% uomini). Anche gli stessi anziani sono scettici: dal 50,8% di chi ha un’età inferiore ai 55 anni si passa al 52,9% di chi ha un’età compresa tra 55-64 anni, per salire al 69,5% degli over 64.

Un sistema ancora zoppicante

Da report si ricava la rappresentazione di un sistema di welfare ancora zoppicante, al quale non corrisponde un’iniziativa riformatrice tempestiva. Il disegno di legge ‘Disposizioni per il riconoscimento e il sostegno del caregiver familiare’, datato agosto 2019, è infatti ancora fermo in Senato. La distanza dal modello organizzativo delle Rsa, per come si configura oggi, è spiegata soprattutto dai dubbi relativi alla qualità delle relazioni che si potrebbero mantenere all’interno delle strutture di assistenza. Chi esclude il ricorso a una Rsa è consapevole delle difficoltà a riproporre, all’esterno della propria casa, le attenzioni rivolte alla persona anziana o non autosufficiente (59,0%).

Timore degli effetti negativi sul familiare da assistere

C’è inoltre la convinzione che il distacco dalla propria abitazione produrrebbe effetti negativi sul familiare da assistere (20,9%). Al contrario, la scelta di una Rsa è invece motivata dalla professionalità del personale impiegato nelle strutture di assistenza (63,3%).  Minore rilevanza assumono altri aspetti, come l’importo della retta da pagare, che rimanda a una valutazione della sostenibilità della spesa (9,1%), e la vicinanza della struttura (9,0%), che garantirebbe la possibilità di visitare più frequentemente il familiare affidato alla Rsa. Qualità dell’ambiente e dotazione di strumenti che garantiscano un certo grado di autonomia agli assistiti raccolgono complessivamente circa il 15% delle indicazioni.

I caregiver familiari: essenziali, ma invisibili

Il 53,4% delle famiglie considera prioritario alleviare la fatica che grava sui caregiver attraverso l’intervento di personale esterno. Tra le soluzioni da adottare a favore dei caregiver viene indicato il riconoscimento di forme di reddito che possano almeno in parte ricompensare il ruolo sostitutivo svolto a causa della mancanza di strumenti di welfare adeguati per l’assistenza di persone anziane o non autosufficienti (25,5%). A seguire, si auspica la possibilità per il caregiver di lavorare da casa (9,0%), mentre per il 6,7% servirebbero l’assicurazione contro gli infortuni domestici e la possibilità di poter accedere a una pensione sulla base di contributi figurativi. Per il 5,4%, poi, sarebbero utili percorsi formativi per qualificare l’assistenza offerta al familiare.

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