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L’Italia nel 2023: un paese che resiste a pandemia e choc energetico

L’Italia si dimostra un paese capace di resistere alla pandemia prima e allo choc energetico, con il conseguente rialzo dei prezzi, dopo. Una tendenza positiva che sembra continuare anche nel 2023 e nel 2024, seppur con percentuali più contenute.
La crescita del Pil nel 2022 è infatti del +3,7% (tra le maggiori economie europee seconda solo alla Spagna, e maggiore rispetto a Francia e Germania) trainata soprattutto da costruzioni e servizi. Insomma, l’Italia che emerge dal Rapporto annuale dell’Istat per il 2023 è nel complesso resiliente. Sono però diversi gli aspetti su cui il paese deve compiere grossi passi in avanti, anche alla luce delle direttrici indicate dal PNRR e della sua progressiva attuazione.

Imprese: innovazione, ricerca e sviluppo sono fondamentali

Nel mondo imprenditoriale, ancora caratterizzato dalla forte prevalenza di Pmi (solo l’1% delle realtà imprenditoriali è costituto da grandi aziende), diventano di fondamentale importanza innovazione, ricerca e sviluppo.
In base alle analisi dell’Istituto di statistica, le imprese che innovano registrano una produttività maggiore del 37%, e se si aggiunge la ricerca e sviluppo si arriva a un +44%. L’altro nodo critico è l’inclusione dei giovani e delle donne nel mondo del lavoro.
Su questo fronte si registrano ancora le percentuali più basse d’Europa. Un dato per tutti: la quota dei Neet, i giovani che non studiano, non lavorano e non si formano, è al 20%, pari a 1,7 milioni di persone (dopo di noi solo la Romania).
L’Istat rileva peraltro come le donne che raggiungono i livelli più elevati di istruzione rimangano più a lungo al lavoro anche dopo aver avuto figli.

Partecipazione al lavoro: serve un approccio qualitativo

La partecipazione al lavoro si lega direttamente, come dimostrato dai dati dell’Istituto, a quello della natalità (lo scorso anno si è registrato il record storico negativo inferiore a 400 mila nascite) e dell’invecchiamento demografico, che modificano direttamente la struttura del mercato lavorativo. L’Istat propone un approccio qualitativo più che quantitativo al welfare, per consentire alle nuove generazioni di fare scelte genitoriali e progettare il futuro. Grande attenzione viene data nel Rapporto anche al tema dell’ambiente, con le criticità legate soprattutto alla gestione delle risorse idriche, e della transizione ecologica, che può diventare un’ottima opportunità di inclusione lavorativa anche per donne e giovani.

Sì a transizione ecologica se sostenibile anche socialmente 

La transizione ecologica va però guidata in maniera tale da essere socialmente sostenibile e da non acuire le disuguaglianze e la trappola della povertà. Su questo fronte però l’Italia segna anche alcuni punti a suo favore, innanzitutto nel campo delle fonti rinnovabili, dove siamo tra i paesi più performanti, anche grazie al sistema delle incentivazioni. Si è inoltre registrato un rallentamento delle emissioni di gas serra. Buoni risultati anche per quanto riguarda le aree verdi nelle città, le aree marine protette e il patrimonio boschivo, che hanno registrato una crescita consistente.

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Frutta e verdura: 25 milioni di italiani l’acquistano dal contadino

È quanto emerge da un’analisi condotta dalla Coldiretti su dati Censis: gli italiani preferiscono acquistare frutta e verdura direttamente da chi la coltiva. Sono infatti circa 25 milioni gli italiani che hanno comprato cibo dai contadini, sia perché spinti da una nuova sensibilità verso gli alimenti salutari sia perché mossi dalla volontà di recuperare un contatto diretto con chi coltiva i prodotti che vengono portano in tavola. L’analisi è stata diffusa in occasione della giornata mondiale della gastronomia sostenibile, promossa il 18 giugno dalle Nazioni Unite. Una giornata che ha lo scopo di mettere al centro l’importanza di un’alimentazione che rispetti l’ambiente, che si avvalga di ingredienti biologici a chilometro zero, ma soprattutto che eviti gli sprechi.

Filiera ‘corta’: una fatturato da 6 miliardi di euro l’anno

L’Italia è il Paese della Ue con la più estesa rete organizzata di mercati contadini. Con 15.000 agricoltori coinvolti in circa 1.200 farmers market di Campagna Amica, il fatturato nazionale della filiera ‘corta’ con vendita diretta di frutta, verdura e altri prodotti agroalimentari, raggiunge i 6 miliardi di euro all’anno. Si tratta di un sistema organizzato da Nord a Sud del Paese, e che non ha solo un valore economico, ma anche occupazionale e ambientale.

Farmers market italiane: un primato riconosciuto a livello mondiale

Quello delle farmers market è un primato riconosciuto a livello mondiale, dove Campagna Amica si è fatta promotrice della World Farmers Markets Coalition, di cui fanno parte realtà di tutti i continenti, come Usa, Australia, Giappone, Canada, Cile, Ghana, Inghilterra, Danimarca e Norvegia, coinvolgendo 250 mila agricoltori e le loro famiglie.
“Il successo dei farmers market è frutto della legge italiana che premia la multifunzionalità dell’agricoltura e che abbiamo fortemente sostenuto per avvicinare le imprese agricole ai cittadini e conciliare lo sviluppo economico con la sostenibilità ambientale e sociale”, afferma il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini.

Tutti i vantaggi di comprare a Km zero

Secondo l’Ispra,  riporta AGI, le vendite dirette con gli acquisti a Km zero tagliano anche del 60% lo spreco alimentare rispetto ai sistemi alimentari tradizionali, e garantiscono un contributo importante alla lotta contro l’inquinamento e i cambiamenti climatici, che provocano danni e vittime in tutto il mondo. È stato calcolato infatti che un chilo di ciliegie dal Cile per giungere sulle tavole italiane attraverso il trasporto aereo deve percorrere quasi 12 mila chilometri, per un consumo di 6,9 chili di petrolio e l’emissione di 21,6 chili di anidride carbonica. E un chilo di mirtilli dall’Argentina deve volare per più di 11 mila chilometri, consumando 6,4 kg di petrolio che liberano 20,1 chili di anidride carbonica per ogni chilo di prodotto. 

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Imprese: richieste di credito in flessione, e tornano a salire i tassi di default

Nei primi tre mesi del 2023 la domanda di credito presentata dalle imprese italiane risulta in flessione del -3,6% rispetto al corrispondente periodo del 2022. Viceversa, l’importo medio richiesto registra un incremento a doppia cifra, +27,8%, per un ammontare pari a 146.845 euro. Lo attestano i dati di EURISC, il Sistema di Informazioni Creditizie di CRIF.
Il trend generale di flessione delle richieste si rispecchia anche nello spaccato per tipologia di impresa. Infatti, la domanda di credito da parte delle Imprese individuali mostra una contrazione del -6%, mentre le Società di capitali subiscono una flessione del -2,4%. Al contrario, si mantiene in decisa crescita l’importo medio per entrambe le tipologie, ovvero, +27,4% per le Società di capitali (193.363 euro) e +21,3% per le Imprese individuali (49.717 euro).

Dopo 10 anni sale la rischiosità delle imprese

Allo stesso tempo, il tasso di default delle imprese dopo molti anni è tornato a salire, arrivando intorno al 2% nel 2022. Un indicatore, questo, che risultava in costante calo dal 2013, delineando negli anni una rischiosità sempre minore delle imprese e uno scenario favorevole per le banche e l’industria del credito. In particolare, il tasso di default è passato da picchi del 7-8% fino a un minimo dell’1,5% nel 2021. Successivamente, la linea discendente si è prima appiattita per poi tornare a crescere dal 2022.

Richieste per settore stabili sui volumi pre-pandemia

Dallo studio CRIF, che mette a confronto la distribuzione della domanda di credito delle imprese dei diversi settori economici, dopo il picco registrato nel I trimestre 2021 emerge un progressivo riassestamento dei volumi di richiesta del credito ai livelli pre-pandemia.
I settori che hanno maggiormente risentito della fluttuazione di questi anni di ‘permacrisi’ sono stati i Servizi, il Commercio e le Costruzioni.
Entrando nel dettaglio, l’innalzamento delle richieste fino al I trimestre 2021 ha subito un considerevole slancio per i Servizi, che rispetto al 2019, nei primi tre mesi del 2021 segnavano una crescita del 7,6%. Lo stesso è accaduto per il settore Commercio, che ha raggiunto lo zenit nel primo trimestre 2021, con un +7,5% in più rispetto ai livelli pre-pandemia. Una conferma di quanto le conseguenze economico-finanziarie della pandemia abbiano accentuato il bisogno di liquidità del comparto.

Meno fluttuazioni della domanda per Tlc ed Energia

Il picco è stato significativo anche per le Costruzioni, con un aumento del 7,4% rispetto al 2019. Il comparto ha infatti beneficiato degli incentivi governativi, come Bonus Facciate o Superbonus 110%, che hanno rivitalizzato la domanda.
Le fluttuazioni della domanda di credito nell’arco temporale degli ultimi cinque anni sono state invece molto più contenute per settori quali le Telecomunicazioni e l’Energia. Viceversa, il comparto del Food&Beverage ha subito negli anni un forte ridimensionamento della domanda, passando da un livello pre-pandemia del 15,7% di richieste fino a segnare solamente un 2% nel I trimestre 2023, pari a -13,7%.

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Mutui green, un mercato consolidato. Richieste al 7% 

Secondo l’osservatorio di Facile.it e Mutui.it nel 2022 la richiesta di mutui green è stata pari al 7% del totale, per un importo medio richiesto di 150.000 euro, circa l’11% in più rispetto ai mutui tradizionali. Il valore medio degli immobili è stato pari a 216.090 euro, il 15% in più rispetto a quello degli immobili legati a un mutuo tradizionale. Una differenza così elevata dipende dal fatto che le abitazioni che possono godere di finanziamenti verdi sono normalmente edifici in classe energetica A o B, pertanto il loro valore è più alto rispetto a quelli in classe energetica inferiore. I mutui green servono infatti a finanziare l’acquisto o la costruzione di abitazioni con elevate prestazioni energetiche (classe A o B), o a sostenere interventi di riqualificazione che consentano un miglioramento di almeno il 30% delle stesse.

Trentino-Alto Adige e under 36 guidano la domanda dei finanziamenti verdi

Trentino-Alto Adige (18,64%), Friuli-Venezia Giulia (8,68%), Umbria (7,81%) Sicilia (7,63%), Lombardia (7,62%) e Veneto (7,61%) sono le aree dove i finanziamenti ‘verdi’ sono più richiesti. Quanto al profilo dei richiedenti, quattro domande di mutuo green su 10 sono state presentate da under 36.
“I mutui green iniziano a rappresentare una quota significativa del mercato e sono destinati a crescere ulteriormente in futuro, soprattutto se pensiamo a norme come la direttiva Ue sull’efficientamento energetico delle abitazioni – spiega Ivano Cresto, Managing Director prodotti di finanziamento di Facile.it -. Le ragioni del successo sono diverse: da un lato l’aumento della platea di abitazioni che possono accedere a questo tipo di finanziamento, dall’altro, il numero di istituti di credito che offrono mutui green riconoscendo uno sconto sul tasso”.

Sconto dello 0,10% sul tasso di interesse, ma solo se migliora la prestazione energetica

Nella maggior parte dei casi chi sceglie un mutuo verde ha diritto a uno sconto sul tasso di interesse da parte della banca, normalmente pari allo 0,10%. In Italia poi esistono mutui verdi che possono essere richiesti anche per l’acquisto di abitazioni non ancora efficienti dal punto di vista energetico. In questo caso, lo sconto sul tasso di interesse non viene concesso all’atto di acquisto, ma solo se, e quando, l’immobile riuscirà a migliorare la propria prestazione energetica di almeno il 30%.

Solo per immobili di classe A o B

La procedura di richiesta di un mutuo green non varia da quella di un mutuo tradizionale, ma in caso di finanziamento verde la banca chiederà necessariamente di allegare alla richiesta l’attestato di prestazione energetica (APE) che certifichi la classe A o B dell’immobile. In caso di mutuo green per ristrutturazione, invece, il richiedente dovrà dimostrare che l’intervento sull’abitazione consenta di ottenere un miglioramento delle prestazioni energetiche di almeno il 30%. In questo caso, alcuni istituti, prima di riconoscere le agevolazioni previste dal mutuo green, potrebbero attendere la fine dei lavori.

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Parchi divertimento: un settore determinante per attrarre flussi turistici

Nel 2023 le imprese dell’industria dei parchi divertimento italiani investiranno oltre 120 milioni di euro tra ampliamenti e nuove attrazioni. Investimenti che hanno già comportato un incremento del 20% dei posti di lavoro, per un totale di oltre 30.000 occupati, di cui 20.000 assunzioni stagionali da inserire entro l’estate 2023 e 10.000 dipendenti fissi. Ma il comparto, costituito da 230 strutture tra parchi faunistici, avventura, tematici e acquatici, è destinato a crescere anche nel medio periodo. Nel prossimo triennio sono infatti previsti ulteriori progetti per 450 milioni di euro, con l’obiettivo di migliorare la competitività allineandosi ai big player internazionali per quantità, varietà e attrattività delle proposte.

La sostenibilità è una sfida anche per i parchi

Tra le sfide all’ordine del giorno c’è anche quella della sostenibilità, già concretizzata attraverso l’efficientemento di molte strutture e l’adozione di pratiche virtuose, a cui si sta affiancando lo sviluppo di impianti fotovoltaici per l’approvvigionamento autonomo e pulito dell’energia elettrica. Grande attenzione, inoltre, a un consumo sempre più attento e consapevole della risorsa idrica attraverso l’adozione di impianti di filtraggio e ricircolo ancora più performanti. Questo, abbinato allo studio di nuove tecnologie basate sull’utilizzo delle acque dei pozzi o del mare opportunamente trattate per evitare lo spreco di acqua potabile.

Estate 2023: previsti oltre 20 milioni di visitatori 

Nel 2019, a fronte di 450 milioni di fatturato di biglietteria, l’indotto relativo a merchandising, ristorazione e altre attività interne ai parchi è stato di 1 miliardo di euro (2 miliardi se si considerano le attività esterne, come hotel, attività di manutenzione e altri servizi), per un totale di oltre 60.000 addetti.
Se il biennio pandemico ha bruciato oltre 250 milioni di euro di fatturato e decine di migliaia di posti di lavoro, il 2022 ha segnato una netta inversione di tendenza, con molte strutture tornate ai livelli del 2019. Sulla base di questo trend, e in linea con la ripresa dei flussi turistici verso l’Italia, si stima che il comparto sarà destinato a un nuovo periodo di sviluppo, superando già nel corso di questa stagione la barriera dei 20 milioni di visitatori italiani e 1,5 milioni di visitatori stranieri.

Puntare sulla sinergia con il patrimonio storico, culturale e naturalistico italiano

“La parola chiave è semplificazione – commenta Maurizio Crisanti, Segretario Associazione Parchi Permanenti Italiani – per la creazione di un mercato del lavoro più dinamico e flessibile e per facilitare le relazioni tra le imprese e le istituzioni, affinché insieme si possano affrontare le nuove sfide che ci aspettano in futuro. Il rischio è la perdita di competitività, per l’incapacità di aggiornare l’offerta turistica italiana con contenuti che devono lavorare sinergicamente con il grande patrimonio storico, culturale e naturalistico del Paese”.

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Italia, il mercato dei droni vale 118 milioni di euro

Vola, è proprio il caso di dirlo, il mercato italiano dei droni professionali. Tanto che nel 2022 ha toccato i 118 milioni di euro, con un incremento di ben il 20% rispetto il 2021. Con questi numeri, si è ritornati ai livelli pre-covid (117 milioni di euro nel 2019), ultimo dato utile prima dello stop forzato. Lo segnala la ricerca dell’Osservatorio Droni e Mobilità Aerea Avanzata della della School of Management del Politecnico di Milano.

Quante sono le imprese in Italia?

Le imprese del settore in Italia sono 706, (in lieve calo rispetto alle 713 del 2021), mentre si contano quasi 60.000 droni registrati sul portale d-flight dal 2020 ad oggi (13.921 nel 2022), di cui il 92% per droni a uso ricreativo e solo l’8% per droni a uso professionale in imprese e PA. Gli operatori registrati e attivi in piattaforma a dicembre 2022 sono 87.007 (+34% rispetto al 2021). Buone notizie anche sul fronte delle autorizzazioni per voli BVLOS, condotti a una distanza che non consente al pilota remoto di rimanere in contatto visivo diretto e costante con il drone: ENAC ha autorizzato 27 sperimentazioni nel 2022, contro le 11 del 2021, segnale sulla volontà di investire in un ambito fondamentale per lo sviluppo del trasporto di merci e persone.

Le applicazioni di droni crescono in tutto il mondo

A livello mondiale, le applicazioni di droni censite tra il 2019 e il 2022 sono 1.137, +27% nel 2022. Nel segmento operativo – l’unico che al momento genera profitti, costituito da droni medio/piccoli in grado di svolgere attività a valore aggiunto per i settori più tradizionali – i casi applicativi sono 823, il 72% del totale. Le principali applicazioni riguardano ispezioni e sopralluoghi (43%), sicurezza e sorveglianza (18%) e ricerca-soccorso (12%). I progetti di Advanced Air Mobility (AAM), con droni più grandi in grado di effettuare trasporti di beni e persone, sono 314 (il 28% del totale): l’82% riguarda il trasporto di merci con droni e il restante 18% il trasporto di persone. Si tratta di un settore che sta attirando grandi investimenti, ma che non ha ancora iniziato a generare profitti per le imprese interessate.

Un business che può decollare ulteriormente

“Il 2022 è stato un anno cruciale per il mercato professionale dei droni – spiega Marco Lovera, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Droni e Mobilità Aerea Avanzata –. Se da un lato il valore del mercato operativo non è ancora esploso e il mercato dell’Advanced Air Mobility non ha ancora iniziato a generare ricavi per le imprese, diversi Paesi europei e l’Unione Europea stessa hanno iniziato a delineare strategie e roadmap per l’introduzione di servizi con droni: sono cresciute le sperimentazioni, sono nati ecosistemi in grado di mettere a fattor comune le competenze dei singoli attori e le imprese hanno iniziato a comprendere in modo più chiaro i benefici che questa tecnologia può portare alle loro attività”.

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Fatturato dell’industria, a novembre torna ad aumentare

Buone notizie per quanto riguarda i dati di fine anno relativi al fatturato dell’industria nazionale. Lo confermano le ultime rilevazioni dell’Istat, riferite a novembre 2022. Entrando nel merito dei conteggi, si stima che il fatturato dell’industria, al netto dei fattori stagionali, aumenti dello 0,9% in termini congiunturali, registrando una dinamica positiva su entrambi i mercati (+0,6% sul mercato interno e +1,3% su quello estero). Nel trimestre settembre-novembre 2022 l’indice complessivo è cresciuto dello 0,8% rispetto al trimestre precedente (+0,4% sul mercato interno e +1,7% sul mercato estero).

Buone performance per i beni strumentali e di consumo

Con riferimento ai raggruppamenti principali di industrie, a novembre gli indici destagionalizzati del fatturato segnano un aumento congiunturale per i beni strumentali (+2,7%) e per i beni di consumo (+1,5%), mentre registrano una flessione su base mensile per l’energia (-1,8%) e per i beni intermedi  (-0,5%). Corretto per gli effetti di calendario, il fatturato totale cresce in termini tendenziali dell’11,5%, con incrementi del 10,1% sul mercato interno e del 14,3% su quello estero. I giorni lavorativi sono stati 21 come a novembre 2021.

Comparto dell’energia a +19,5%

Per quanto riguarda gli indici corretti per gli effetti di calendario riferiti ai raggruppamenti principali di industrie, si registrano incrementi tendenziali marcati per l’energia (+19,5%), per i beni strumentali (+17,6%) e i beni di consumo (+13,3%), più contenuti per i beni intermedi (+4,5%). Con riferimento al comparto manifatturiero, tutti i settori di attività economica mostrano una crescita tendenziale. A novembre si stima che l’indice destagionalizzato del fatturato in volume, relativo al settore manifatturiero, registri un aumento in termini congiunturali (+1,2%). Corretto per gli effetti di calendario, il volume del fatturato per il comparto manifatturiero cresce in termini tendenziali dello 0,5%, con un incremento molto più contenuto di quello in valore (+11,4%).

Il commento dell’Istituto di Statistica

Insieme ai dati, arriva anche il commento dell’Istat. “Dopo due mesi di flessioni, il fatturato dell’industria, al netto dei fattori stagionali, torna a crescere a novembre in termini congiunturali, favorito da un maggiore dinamismo della componente estera rispetto a quella interna.
Nel confronto tendenziale su dati corretti per i giorni lavorativi, si registra un incremento del valore del fatturato sia in termini complessivi sia con riferimento ai principali raggruppamenti di industrie. La crescita in volume risulta decisamente più contenuta”. Per comprendere se il trend durerà anche nei mesi dell’anno appena iniziato occorre attendere le prossime rilevazioni.

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Salute e comodità: i trend della spesa online degli italiani nel 2022

Le parole chiave della spesa online degli italiani nel 2022 sono state salubrità e praticità: se frutta e verdura hanno infatti continuato a trainare gli acquisti contemporaneamente è cresciuto il consumo di alimenti salva-tempo. È quanto emerge dal quarto Report Annuale di Everli relativo ai trend per la spesa online degli italiani negli scorsi dodici mesi. Frutta e verdura continuano quindi a primeggiare nel carrello online degli italiani, confermandosi per il terzo anno consecutivo in vetta alle categorie di prodotto più acquistate. Una tendenza healthy in crescita già dallo scorso anno, che si riflette anche in nuove abitudini alimentari. Nel 2022, merendine e dolci escono per la prima volta dalla top 10 dei prodotti più comprati.

L’anno delle bevande e della praticità

Compare però nella classifica delle categorie più acquistate anche molti cibi pronti per essere gustati, come formaggi fusi a fette (3°), spalmabili (5°), e mozzarella (7°), il prosciutto (6°) e alcuni ‘convenience food’, come sughi pronti (8°) e carne o pesce in scatola (10°). Ma nel 2022 gli italiani hanno scelto la spesa online anche per l’acquisto di bevande. Tra le categorie di prodotto più acquistate 3 su 10 riguardano il mondo beverage: l’acqua minerale sale al 2° gradino del ranking dei 10 prodotti più comprati nel 2022, vino e birra (4°) tornano in graduatoria dopo un’assenza di tre anni ed entrano per la prima volta nella top 10 le bibite gassate (9°).

Le abitudini di acquisto online

Secondo Everli nel 2022 gli acquisti hanno registrato un picco importante da gennaio a marzo, prima dell’insorgere dell’instabilità globale. Quanto alle abitudini di spesa settimanali, venerdì e lunedì sono stati i momenti più gettonati per dedicarsi alla spesa online e gli acquisti ‘on-the-go’ si confermano la soluzione preferita, con un numero crescente di ordini effettuati via smartphone. Sono infatti 7 utenti su 10 ad affidarsi all’app quando si tratta di fare la spesa online. Ed è proprio la possibilità di guadagnare tempo a rendere questa prassi particolarmente vantaggiosa. Lo scorso anno la spesa online ha permesso un risparmio medio di 70 km e 10 ore per utente.

La mappa dei sapori della Penisola

Se nel corso del 2022 Roma è stata la città che ha acquistato il maggior numero di prodotti ortofrutticoli, il podio regionale vede a pari merito Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto. Nel ranking delle province con i maggiori acquisti di frutta e verdura entrano infatti anche Milano (2°), Padova (6°), Varese (8°) e Verona (9°), che si affiancano a Bologna (4°) e Forlì-Cesena (10°). La regione più golosa è la Lombardia, con Varese (3°), Milano (4°), Bergamo (6°) e Brescia (8°) tra le 10 città in cui si sono registrati gli ordini maggiori di dolciumi, ma a livello provinciale Roma detiene anche questo primato. I consumi più significativi di carne e pesce poi si sono registrati a Torino, ma è in Friuli-Venezia Giulia che sono stati effettuati il maggior numero acquisti.

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Nuovo Codice Consumi: i valori per i consumatori nel 2022

Il Nuovo Codice Consumi, realizzato da GS1 Italy in collaborazione con Ipsos e McKinsey & Company, ha individuato i valori che hanno guidato i consumatori nel 2022. Secondo lo studio, dal punto di vista dei consumi, con i suoi 59 milioni di abitanti, l’Italia si può ‘riassumere’ in nove comunità di consumatori. Sono comunità trasversali per età e collocazione geografica, e per genere e status socio-economico, perché ad accomunarle sono altri fattori. Ovvero, i valori, le passioni, gli atteggiamenti, e quindi, l’adesione a uno stesso stile di vita, e anche di spesa. In pratica, il Nuovo Codice Consumi ha suddiviso gli italiani in nove ‘comunità di sentire’, diverse, ma non mutualmente esclusive.

Emozionalità, Innovazione, Omnicanalità, Ambiente, Territorialià, Convenienza 

Per tematizzare le nove comunità di consumatori, il Nuovo Codice Consumi ha identificato i sei temi chiave che definiscono i principali valori, e con quale dimensione, gli italiani si relazionano alla spesa, ai consumi e alla vita quotidiana. Questi sei temi individuati riguardano l’Emozionalità di prodotti e marchi, l’Innovazione dell’esperienza di consumo, Omnicanalità ed esperienza d’acquisto, la Cura per l’ambiente e la persona, la Territorialità, e Convenienza e parsimonia.

Angeli custodi, follower del fashion o ribelli etici?

La prima è quella di chi si gusta le piccole cose (12% dei consumatori italiani), per i quali basta poco per essere felici. La seconda riguarda gli angeli custodi, ‘coloro che curano il nido’ (11%) o caring parsimoniosi, e la terza, gli ispirati dall’edonismo (14%), che racchiude i ‘disattenti con il gusto di essere ammirati’. 
A questi seguono i follower del fashion (10%), consumatori ‘ricercati dal gusto brandizzato’, e i saggi del benessere (20%, la comunità dei ‘conviviali concentrati sulla salubrità’.
Ma c’è anche una comunità di chi è costretto a vivere veloce (13%), gli ‘urban-onnivori disinteressati’, per i quali la vita è un delivery, e una che contraddistingue i ribelli etici, o moral suasion: ovvero, ‘no logo e freddi con la GDO’ (11%).

Sperimentatori accorti o nostalgici del “genius loci”?

C’è poi una comunità di sperimentatori accorti, i ‘creatori di gusti, informati e avveduti’ (22%), e una di autentici nostalgici del genius loci, i ‘custodi tradizionalisti ed elegiaci a km0’ (12%). Insomma, dagli amanti delle marche a quelli dell’autoproduzione, dai fedelissimi del mercato a chi fa la spesa online, dai sostenitori della sostenibilità a quelli dei territori di produzione, dai parsimoniosi attenti al prezzo a quelli che fanno scorte quanto ci sono promozioni, sono questi gli italiani delle nove community individuate dal Nuovo Codice Consumi.

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Casa e italiani: i proprietari sono il 70,8%

La proprietà immobiliare è un fattore costitutivo della nostra società, inscritto nel dna degli italiani. Il 70,8% delle famiglie italiane è infatti proprietario della casa in cui vive, e il 28,0% possiede altri immobili. La percentuale di famiglie proprietarie è più elevata tra le coppie con figli (73,9%) e tra i residenti nelle piccole città: 76,1% nei comuni fino a 2.000 abitanti, e 74,3% in quelli tra 2.000 e 10.000 abitanti. Ma la proprietà non è prerogativa solo dei benestanti: tra le famiglie più povere il 55,1% è proprietario dell’abitazione in cui vive, e la percentuale aumenta fino all’83,9% tra i più abbienti. Si tratta di alcuni dati del 1° Rapporto Federproprietà-Censis, dal titolo Gli italiani e la casa, realizzato con il contributo della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) in collaborazione con Cassa Depositi e Prestiti (Cdp).

La pietra angolare della sicurezza economica ed esistenziale

Per il 91,9% degli italiani la casa è un rifugio sicuro, soprattutto dopo il Covid, e l’89,7% è tranquillizzato dall’essere proprietario della propria abitazione. Per l’83,1% la casa riflette anche la propria identità e personalità, e il 54,5% vorrebbe aiutare figli o nipoti ad acquistare la prima casa, perché l’immobile di proprietà resta la pietra angolare della sicurezza economica ed esistenziale.
La pandemia ha poi contribuito a rendere multifunzionali le abitazioni, e se il 47,1% degli italiani lavora ancora da remoto il 96,3% degli studenti è attrezzato per seguire le lezioni in Dad. In casa gli italiani fanno anche sport (43,7%), cucinano (89,3% e coltivano parte delle relazioni sociali (84,5%). Al 17,7% poi capita di curarsi in casa o ricevere assistenza a domicilio.

Cresce l’attenzione per la salubrità degli ambienti

Per l’87,2% degli italiani gli spazi della propria abitazione sono adeguati, e la casa è confortevole. Il 29,5% ha apportato cambiamenti importanti a seguito alla pandemia per adeguare gli spazi alle nuove esigenze. Cresce anche l’attenzione per la salubrità degli ambienti e la sostenibilità della casa: l’88,9% la ritiene salubre, e l’84,4% è pronto a renderla più sostenibile attraverso il controllo dei consumi energetici. Il 51,7% dei proprietari è inoltre convinto che il valore della propria abitazione non sia aumentato negli ultimi dieci anni. In effetti, tra il 2010 e il 2019 i prezzi degli immobili residenziali in Italia sono diminuiti del 16,6% per poi registrare un +4,6% tra il 2019-2021 e un +5,2% nel secondo trimestre del 2022.

Ma aumentano i costi e il disagio abitativo

Sono però fortemente aumentati i costi legati alla casa. Per il 76,5% degli italiani tali costi pesano molto sul budget familiare, e per il 71,7% le tasse relative alla proprietà sono troppo alte. Il 5,9% degli italiani però vive in condizione di deprivazione abitativa. A questo si aggiunge il disagio degli studenti fuori sede. Una soluzione innovativa è l’housing sociale, avviato dal Piano nazionale di edilizia abitativa, che prevede un sistema integrato di fondi immobiliari con al centro il Fondo Investimenti per l’Abitare gestito da Cdp Immobiliare Sgr.

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