Per contatti: info@ariafrisca.it

Open post

Prezzi al consumo, aumento dell’11,8% su base annua

I prezzi al consumo aumentano, sia su base mensile sia su base annua. A dare la conferma di quella che è più che una sensazione da parte dei consumatori, è l’Istat. L’Istituto di Statistica ha infatti pubblicato i dati provvisori relativi ai prezzi al consumo a novembre 2022. Secondo le stime preliminari, nel mese in oggetto l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, registra un aumento dello 0,5% su base mensile e dell’11,8% su base annua (come nel mese precedente). Si tratta di un’accelerazione dei prezzi più leggera rispetto ai mesi passati.

Inflazione stabile su base tendenziale

L’inflazione rimane stabile su base tendenziale a causa, principalmente, degli andamenti contrapposti di alcuni aggregati di spesa: da un lato rallentano i prezzi dei Beni energetici non regolamentati (da +79,4% a +69,9%), degli Alimentari non lavorati (da +12,9% a +11,3%) e dei Servizi relativi ai trasporti (da +7,2% a +6,8%); dall’altro accelerano i prezzi degli Energetici regolamentati (da +51,6% a +56,1%), dei Beni alimentari lavorati (da +13,3% a +14,4%), degli Altri beni (da +4,6% a +5,0%) e dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +5,2% a +5,5%). L’“inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, accelera da +5,3% a +5,7%; quella al netto dei soli beni energetici sale da +5,9% a +6,1%.

I prezzi dei beni rallentano la corsa verso l’alto

Su base annua, i prezzi dei beni mostrano un lieve rallentamento (da +17,6% a +17,5%), mentre rimangono stabili quelli dei servizi (+3,8%); si ridimensiona, quindi, di poco, il differenziale inflazionistico negativo tra questi ultimi e i prezzi dei beni (da -13,8 di ottobre a -13,7 punti percentuali). I prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona registrano una modesta accelerazione su base tendenziale (da +12,6% a +12,8%); rallentano, al contrario, quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +8,9% a +8,8%). L’aumento congiunturale dell’indice generale è dovuto prevalentemente ai prezzi dei Beni energetici regolamentati (+3,0%), degli Energetici non regolamentati (+2,2%), degli Alimentari lavorati (+1,5%) e dei Beni non durevoli (+0,6%); in calo invece, a causa per lo più di fattori stagionali, i prezzi dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (-0,4%) e dei Servizi relativi ai trasporti (-0,2%). L’inflazione acquisita per il 2022 è pari a +8,1% per l’indice generale e a +3,7% per la componente di fondo.

Open post

Moda a Milano e Lombardia, che valore ha il settore?

Le imprese del settore della moda con sede a Milano, Monza e Lodi hanno registrato nel 2021 ricavi delle vendite per circa 14,7 miliardi di euro, una cifra pari a oltre la metà del fatturato lombardo del settore e al 17% del totale nazionale, che risulta superiore agli 86 miliardi di euro. Milano è ampiamente la prima provincia italiana per fatturato del settore moda con 13,5 miliardi di euro, distanziando nettamente Vicenza (6,5 miliardi), Napoli (4,4 miliardi) e Firenze (4,2 miliardi). Le imprese della moda basate a Monza fatturano invece circa 1,1 miliardi di euro, 46 milioni quelle di Lodi. Sono i dati decisamente positivi del comparto della moda italiana in generale e di quella lombarda in particolare, in base a dati ufficiali elaborati dalla Camera di commercio di Milano MonzaBrianza Lodi.

Milano, Monza Brianza e Lodi regine di export

Nell’area di Milano Monza Brianza Lodi, l’abbigliamento costituisce la voce principale dell’export: nel primo semestre 2022 i mercati esteri hanno intercettato oltre 2,2 miliardi di euro in valore (42,4% dei flussi totali), seguiti per rilevanza dai prodotti in cuoio, pelle, borse e accessori con 1,1 miliardi (21,8%) e dalle calzature con oltre 900 milioni di esportazioni (17,4%). Seguono quindi i prodotti tessili (7,5%), in particolare maglieria (5,7%) e tessuti (3,7%). Il baricentro dei mercati è spostato in misura preponderante verso le aree extraeuropee, dove le mete di destino principali sono Asia (38,4%) e America (19,3%), mentre Africa e Oceania sono residuali per la struttura delle rotte geografiche. Il mercato Europeo (39,8%) evidenzia una preponderanza dell’Unione europea (22,4%) rispetto alle piazze esterne allo spazio comune (17,4%). Nelle prime tre posizioni si collocano Stati Uniti (16,3%), Cina (10,7%) e Corea del Sud (8,2%), mentre il primo mercato europeo, ossia la Francia (8%), si posiziona al quarto posto della graduatoria, seguita da Svizzera (7%) e Regno Unito (5,9%), i partner principali esterni all’area comunitaria. In generale, le esportazioni di abbigliamento costituiscono la voce di acquisto principale di tutti i mercati: ciò è particolarmente rilevante se consideriamo Svizzera, Regno Unito e Hong Kong verso i quali oltre la metà dei flussi esportativi è costituita dall’abbigliamento, fenomeno che interessa anche l’export diretto in Germania dove rappresenta circa la metà degli acquisti dei prodotti della moda. Sempre la Svizzera è inoltre interessata da una significativa quota di export di calzature, oltre un quinto delle esportazioni. La Corea del Sud è invece una piazza particolarmente interessante per le esportazioni di cuoio, pelle, borse e accessori che incidono per circa il 44% sul totale export diretto verso il Paese, merceologie altrettanto rilevanti per il Giappone, dove incidono per il 37,7%. 

Imprese e addetti del comparto

Nel 3° trimestre del 2022, a Milano risultano attive 11.102 imprese nel comparto della moda, rappresentano il 5,6% delle imprese del settore moda nel nostro Paese. A Milano le oltre 11 mila imprese danno lavoro a 93.532 persone e creano un giro d’affari pari a 13,5 miliardi di euro (dato riferito alle sole società di capitali), che pesa il 15,6% sul giro d’affari complessivo generato dalle imprese del settore moda in Italia, che è di 86 miliardi di euro. In Italia le imprese del settore moda sono 199.442, danno lavoro a 787.166 persone e creano un giro d’affari pari a 86,7 miliardi di euro. In Lombardia sono 28.201 le imprese attive e danno lavoro a 180.305 persone e creano un giro d’affari pari a 26 miliardi di euro. La maggior parte delle imprese del settore opera nell’ambito della produzione e del commercio al dettaglio di articoli di abbigliamento. Per quanto riguarda la forza lavoro, il settore della moda conta complessivamente 103mila addetti nell’area accorpata di Milano Monza Brianza e Lodi (93.532 a Milano), pari a oltre la metà di quelli lombardi e al 13,1% del totale nazionale; di questi, 37mila operano nei comparti industriali del fashion (30.962 a Milano), l’8,2% degli addetti italiani. La maggiore concentrazione di lavoratori si registra nella confezione e nel commercio al dettaglio di articoli di abbigliamento.

Open post

Come sarà il futuro dello smart working? In calo ora e in crescita nel 2023

Il fatto che le limitazioni legate alla pandemia siano pressochè tutte rientrate ha fatto sì che il lavoro da remoto sia utilizzato in maniera meno consistente rispetto lo scorso anno. Tuttavia, i numeri restano importanti: gli smart worker sono oggi circa 3,6 milioni, quasi 500 mila in meno rispetto al 2021, con un calo in particolare nella Pubblica Amministrazione e nelle PMI, mentre si rileva una leggera ma costante crescita nelle grandi imprese che, con 1,84 milioni di lavoratori, contano circa metà degli smart worker complessivi. Per il prossimo anno si prevede un lieve aumento fino a 3,63 milioni, grazie al consolidamento dei modelli di smart working nelle grandi imprese e a un’ipotesi di incremento nel settore pubblico.

Presente nel 91% delle grandi imprese

Lo smart working è ormai presente nel 91% delle grandi imprese italiane (era l’81% nel 2021), mediamente con 9,5 giorni di lavoro da remoto al mese e progetti che quasi sempre agiscono su tutte le leve che caratterizzano questo modello. Una tendenza opposta si riscontra nelle PMI, in cui lo smart working è passato dal 53% al 48% delle realtà, in media per circa 4,5 giorni al mese. A frenare in queste realtà è la cultura organizzativa che privilegia il controllo della presenza e percepisce lo smart working come una soluzione di emergenza. Rallenta anche la diffusione nella PA, che passa dal 67% al 57% degli Enti, con in media 8 giorni di lavoro da remoto al mese. In questo caso a pesare sono soprattutto le disposizioni del precedente Governo che hanno spinto a riportare in presenza la prestazione di lavoro, ma per il futuro si prevede un nuovo aumento. E’ uno dei dati contenuti nella ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano.

Il risparmio sui costi energetici del lavoro a distanza

L’impatto dello smart working è sempre più positivo per effetto dell’aumento dei costi energetici: un lavoratore che operi due giorni a settimana da remoto risparmia in media circa 1.000 euro all’anno per effetto della diminuzione dei costi di trasporto. Nella stessa ipotesi di due giorni alla settimana di lavoro da remoto l’aumento dei costi dei consumi domestici di luce e gas può incidere però per 400 euro l’anno riducendo il risparmio complessivo a una media di 600 euro l’anno. Lo smart working consente una riduzione dei costi potenzialmente più significativa per le aziende: consentire ai dipendenti di svolgere le proprie attività lavorative fuori della sede per 2 giorni a settimana permette di ottimizzare l’utilizzo degli spazi isolando aree inutilizzate e riducendo i consumi, con un risparmio potenziale di circa 500 euro l’anno per ciascuna postazione. Se a questo si associa la decisione di ridurre gli spazi della sede del 30%, il risparmio può aumentare fino a 2.500 euro l’anno a lavoratore.

Open post

Per il Welfare experience è l’ora della digitalizzazione 

Dalla sfida posta dalla digitalizzazione non è esente il mondo del lavoro e del welfare aziendale. Secondo i dati di Sodexo Benefits & Rewards Services Italia, anche i servizi di welfare devono infatti adattarsi a questa trasformazione. Il digitale è un elemento ormai sempre più diffuso e centrale nella vita quotidiana di lavoratori e consumatori. Non stupiscono, ad esempio, le stime pubblicate da Desi, il monitor della Commissione europea che analizza lo stato di digitalizzazione dei Paesi membri, secondo il quale l’Italia nel 2022 vanta il primato del Paese che in Europa più sta crescendo su questo fronte. 

Coniugare la flessibilità dei buoni pasto con una user experience digitale

Nel 2022 il welfare aziendale ha visto importanti novità, in particolare dal punto di vista normativo, ma che già nel biennio precedente aveva registrato dinamiche di cambiamento significative dal punto di vista dei modelli organizzativi. Le aziende infatti sono sempre più interessate a integrare piattaforme digitali per la gestione dei servizi di welfare e benefit offerti ai propri collaboratori, in grado di consentire un facile accesso da remoto. Un esempio di questa integrazione è Sodexo Multi, la smart card di Sodexo che coniuga tutta la flessibilità dei buoni pasto con una user experience digitale e di pagamento rinnovata.

Soluzioni smart per una connessione più stretta tra azienda e dipendenti

“Investire nella digitalizzazione del welfare, come ci raccontano i dati che abbiamo raccolto, rappresenta una grande opportunità per le imprese -commenta Anna Maria Mazzini, Chief Growth Officer di Sodexo Benefits & Rewards Services Italia-, poiché i nuovi strumenti digitali a nostra disposizione consentono di creare una connessione sempre più stretta tra azienda e dipendenti, semplificando notevolmente i processi per le HR, nonché la fruizione per i dipendenti, e intercettando in modo innovativo i nuovi bisogni delle persone e degli utenti. Sono proprio i nostri collaboratori, ormai perfettamente a loro agio nell’utilizzo quotidiano di app e piattaforme digitali, a richiedere soluzioni smart di questo tipo”.

I fringe benefit supportano la capacità di spesa di famiglie e imprese

Negli ultimi anni la normativa ha evidenziato la volontà del legislatore a incentivare l’utilizzo dei fringe benefit per i lavoratori, che possono comporre liberamente il proprio paniere di beni e servizi da acquistare attraverso il budget assegnato. Grazie al Decreto Aiuti bis varato dal Governo e recentemente approvato dal Parlamento, riferisce Adnkronos, la soglia di esenzione fiscale dei fringe benefit poi è ora pari a 600 euro. E quest’anno il Governo ha previsto un bonus, anch’esso interamente deducibile, per il carburante. Per i lavoratori, i fringe benefit rappresentano, invece, un ammontare non soggetto a contribuzione né a prelievo fiscale. Un modo per le aziende di supportare, in una congiuntura economica delicata come quella attuale, la capacità di spesa di famiglie e imprese.

Open post

Mutui in Europa: Italia bene sui tassi variabili, meno sui fissi

Come sono i mutui in Italia rispetto a quelli degli altri Paesi d’Europa? Convenienti in particolare le condizioni per quelli variabili: lo riferisce una recentissima analisi di Facile.it e Mutui.it. Discorso completamente diversi per i tassi fissi, sempre secondo il report, che evidenzia che siano peggiori, ad esempio, se confrontati con quelli di Francia, Spagna, Portogallo e molti altri. L’indagine si basa sulla rilevazione dell’andamento degli indici registrati online in 12 Paesi a inizio settembre, considerando una richiesta di finanziamento di 120.000 euro da restituire in 20 anni per acquistare un immobile del valore di 180.000 euro. 

L’andamento dei mutui

Guardando al tasso fisso, in Italia questo tipo di finanziamento viene proposto con un TAN a partire dal 2,89%, valore in netto aumento rispetto allo scorso anno, quando gli indici partivano intorno allo 0,80%. Se dodici mesi fa gli aspiranti mutuatari italiani potevano godere dei tassi fissi più bassi tra quelli rilevati, oggi, rispetto ai Paesi UE analizzati, l’Italia si posiziona nei gradini bassi della classifica; solo Grecia e Germania fanno peggio, con indici fissi che partono, rispettivamente, da 3,20% e 3,12%. Valori nettamente migliori per Spagna e Portogallo, stati che tradizionalmente avevano tassi simili ai nostri e che invece oggi offrono indici più bassi; i TAN rilevati partono, rispettivamente, da 2% e 2,10%. Situazione ancor più rosea per gli aspiranti mutuatari della Francia, che possono accedere alle migliori condizioni tra quelle offerte dai Paesi oggetto di analisi, con TAN fissi che partono addirittura da 1,80%.

Meglio in Svizzera, peggio nel Regno Unito

Allargando l’analisi all’Europa geografica emerge un quadro variegato: in Svizzera, ad esempio, i TAN sono inferiori a quelli italiani e, per un tasso fisso, partono da 2,48%, mentre va decisamente peggio oltremanica, nel Regno Unito, dove partono da 3,76%. Sul fronte del tasso variabile (considerando sempre il TAN), invece, l’Italia mantiene il suo primato e nessuno, tra i Paesi analizzati, offre un tasso iniziale migliore. Nel Belpaese i tassi partono da 1,32%, mentre fuori dai confini nazionali gli indici sono più alti; 1,87% in Portogallo, 2% in Svizzera, 2,34% nel Regno Unito. Va detto però che, a differenza del fisso, le distanze tra i Paesi rispecchiano solo la prima rata e, considerata la variabilità dei tassi, potrebbero modificarsi nel tempo a seconda dell’andamento dell’indice a cui ciascun mutuo è collegato.

Open post

Imprese e lavoro: mancano candidati per 227mila assunzioni 

Nel mese di settembre le assunzioni per cui le imprese dichiarano difficoltà di reperimento salgono a 227mila. Le cause prevalenti? Si confermano la ‘mancanza di candidati’ (27,8%) e la ‘preparazione inadeguata’ (11,9%), e il mismatch riguarda soprattutto gli operai specializzati (56,8%), i conduttori di impianti fissi e mobili e le professioni tecniche (47%).  Le figure di più difficile reperimento sono invece Meccanici artigianali, montatori, riparatori e manutentori (65,8%), Artigiani e operai specializzati nelle costruzioni (65,6%), ma anche tecnici in campo ingegneristico (64,1%), tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi (59,9%), tecnici della salute (54,5%), specialisti in scienze matematiche, informatiche, chimiche, fisiche e naturali (53,3%) e ingegneri (46,5%). A delineare questo scenario è il Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal. 

In leggero calo le assunzioni previste

A incontrare le maggiori difficoltà di reperimento sono le imprese delle regioni del Nord-Est, dove sono difficili da reperire il 49% delle figure ricercate, seguite da Nord-Ovest (43%), Centro (42,1%), Sud e Isole (39,3%). Secondo Excelsior sono 524mila i lavoratori ricercati dalle imprese per il mese di settembre, 2mila in meno (-0,4%) rispetto a quanto programmato un anno fa. In frenata il comparto manifatturiero (-13,6%, 15mila posti in meno rispetto a settembre 2021) e soprattutto il commercio (-30,0%, -25mila). Su queste dinamiche sta incidendo il continuo rialzo dei costi dell’energia e delle materie prime, con i relativi effetti su inflazione e consumi. Per quanto riguarda il trimestre settembre-novembre 2022, le assunzioni previste superano di poco 1,4milioni, -3,0% rispetto al 2021.

Mismatch tra domanda e offerta: +7% rispetto al 2021

La difficoltà di reperimento interessa il 43,3% delle assunzioni programmate (+7% rispetto a settembre 2021), quando il mismatch tra domanda e offerta era pari al 36,4% dei profili ricercati. Quasi un’assunzione su tre (31,7%) riguarda giovani fino a 29 anni d’età. Continua però l’andamento positivo delle costruzioni: 57mila le entrate programmate nel mese (+37,3% annuo), e 154mila per il trimestre settembre-novembre (+30,4%). Sono negative invece le previsioni per la maggior parte dei comparti manifatturieri, che stanno programmando 99mila entrate nel mese e 275mila nel trimestre, con una flessione tendenziale rispettivamente del -13,6% e -13,4%.

Settori in frenata per Industria e Servizi

Tra i settori in frenata, soprattutto le Industrie tessili, dell’abbigliamento e calzature (-31,8% annuo e -31,2% nel trimestre), le Industrie metallurgiche e dei prodotti in metallo (-27,4%, -25,6%), le Industrie meccaniche ed elettroniche (-18,2%, -19,9%) e le Industrie della carta, cartotecnica e stampa (-11,4%, -14,6%). Sono invece 368mila i contratti di lavoro programmati dalle imprese dei servizi (-0,5% su settembre 2021), e oltre 976mila quelli previsti per il trimestre (-3,7% sull’analogo trimestre del 2021). Il dato negativo è imputabile soprattutto alla contrazione del commercio (-30% e -33,0%), seguito dai servizi media e comunicazione (-5,4% e -2,0%).

Open post

Lombardia, la disoccupazione scende ai livelli pre-crisi

La Lombardia, ancora una volta, dimostra di saper “reggere” alle difficoltà e di saper reagire con altrettanta forza. E’ il caso della risposta della Regione agli effetti della pandemia, che ha avuto pesanti ripercussioni sul mondo del lavoro. Passata la fase più critica dell’emergenza, nel primo trimestre 2022 gli occupati in Lombardia sono tornati a crescere. Nel dettaglio, sono  4 milioni e 365 mila, ben 133 mila in più rispetto allo stesso trimestre dell’anno scorso. In termini percentuali la crescita è pari al +3,1%, un valore leggermente inferiore al dato italiano (+4,8%). Il tasso di occupazione nella regione si conferma però tra i più elevati a livello nazionale, attestandosi al 67,1%: la Lombardia resta, dunque, il motore dell’economia italiana.

Più uomini nella forza lavoro

Prosegue quindi il processo di ripresa dell’occupazione lombarda, avviato nel 2° trimestre 2021 dopo la crisi generata dall’emergenza sanitaria. Il recupero dei livelli non è però ancora completo: mancano infatti 82 mila occupati per raggiungere i valori del 2019 e 1,3 punti percentuali per quanto riguarda il tasso di occupazione. I maggiori contributi alla crescita in questo trimestre provengono dalla componente maschile della forza lavoro (+3,6% su base annua), dopo tre trimestri in cui erano state soprattutto le donne a trainare l’occupazione.

Bene i settori di commercio, alloggio e ristorazione

Forti segnali positivi dalle attività commerciali, di alloggio e ristorazione (+9,1%) – che sono tuttavia ancora lontane dal recuperare i livelli persi a seguito della crisi – e dai lavoratori indipendenti (+4,1%), che nel 2021 avevano mostrato una tendenza ancora negativa. L’aumento dell’occupazione si associa a un calo del numero di persone in cerca di lavoro: il tasso di disoccupazione scende al 5,5%, un valore inferiore sia al 2021 che ai livelli pre-crisi, grazie in particolare alla discesa della componente maschile.

Le considerazioni di Unioncamere

“L’occupazione in Lombardia continua a crescere, nonostante le incertezze della congiuntura economica – commenta Gian Domenico Auricchio, Presidente di Unioncamere Lombardia – tuttavia la partecipazione al mercato del lavoro è ancora al di sotto dei livelli del 2019, mentre molte imprese segnalano difficoltà nel reperire il personale necessario. Diventa quindi importante favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e lo sviluppo delle competenze ricercate dalle imprese e supportare la conciliazione tra lavoro e vita privata per favorire la partecipazione femminile”.

Open post

Secondo Bankitalia un figlio costa 640 euro al mese

Mantenere un figlio in Italia costa 640 euro al mese. È questa la cifra che secondo Bankitalia, spende in media una famiglia mensilmente per ogni figlio appartenente al nucleo. Il dato emerge in un riquadro all’interno della Relazione annuale della Banca d’Italia, che ha preso come riferimento i costi dei nuclei familiari composti da due adulti con uno o più figli minori, durante il periodo compreso tra il 2017 e il 2020. All’interno della spesa di 640 euro, precisa l’istituzione, sono compresi gli acquisti relativi a beni e servizi destinati esclusivamente ai figli, come gli alimenti per neonati o le rette scolastiche, e una quota dei consumi rilevati a livello familiare, come le spese per l’abitazione e per i trasporti, stimati utilizzando diversi criteri di ripartizione.

Quasi il 60% della spesa per cibo, abbigliamento, casa, istruzione e salute 

Di fatto, quasi il 60% della spesa è destinato a soddisfare bisogni primari, ovvero beni alimentari, e spese per la casa, istruzione e salute.
Queste stime si basano su criteri di ripartizione dei consumi rilevati per l’intero nucleo tra i diversi componenti della famiglia, e “non tengono conto del fatto che i genitori potrebbero decidere di comprimere i propri consumi per soddisfare pienamente quelli della prole”, si legge nel rapporto. Bankitalia ricorda poi che dallo scorso marzo è iniziata l’erogazione dell’assegno unico e universale per rafforzare le misure di sostegno economico ai nuclei con figli.

L’importo nel 2020 si è contratto a 580 euro

L’importo, spiega ancora Bankitalia, pressoché stabile nel triennio 2017-19, si è contratto nel 2020 a 580 euro, il 12% in meno rispetto al 2019, quando i timori del contagio e le restrizioni alla mobilità connesse alla pandemia hanno fortemente ridotto la spesa per consumi, in particolare per i trasporti e per il tempo libero, riporta Askanews. In ogni caso, la spesa di 640 euro al mese per mantenere ogni figlio è pari a un quarto della spesa media di una famiglia italiana.

Al Sud meno spese per casa, tempo libero e trasporti

Durante il periodo preso in esame, si legge ancora nel rapporto, nel Mezzogiorno la spesa per ogni figlio è risultata inferiore rispetto al Centro Nord, anche se l’incidenza sulla spesa media delle famiglie è tuttavia simile nelle due macroaree. Il divario tra Sud e Nord, riferisce Agi, ha riguardato per circa un quinto le spese per la casa, che riflettono il più elevato costo degli immobili nelle regioni centro-settentrionali, e per circa due terzi i consumi meno essenziali, come tempo libero, trasporti e altro.

Open post

Per i mutui a tasso variabile la rata aumenterà fino a 120 euro

I mutui a tasso variabile per l’acquisto di un’abitazione aumenteranno: tra gli ‘osservati speciali’ della riunione di politica monetaria della BCE c’è proprio l’annuncio sui tassi. L’aumento, previsto per luglio e settembre 2022, avrà un impatto sull’Euribor, l’indice di riferimento per i mutui a tasso variabile, e questo comporterà un aumento delle rate dei mutui degli italiani. Ma di quanto aumenteranno? Facile.it, il portale di comparazione prezzi, ha fatto alcune simulazioni, scoprendo che da qui al prossimo anno la rata mensile di un mutuo variabile medio potrebbero salire di circa 120 euro rispetto a oggi.

Oggi un tasso variabile medio è pari allo 0,85%

Per effettuare la sua analisi Facile.it ha preso come riferimento un finanziamento da 120.000 euro da restituire in 20 anni, e ha simulato i possibili cambiamenti tenendo in considerazione i cosiddetti futures sull’Euribor, che rappresentano l’aspettativa che gli operatori hanno sull’andamento dell’indice nei prossimi 5 anni. In pratica, oggi un tasso variabile medio (TAN) disponibile online per l’operazione simulata è pari a 0,85%, con una rata mensile pari a 544 euro. Secondo i futures sull’Euribor, entro la fine del 2022 l’indice Euribor a 3 mesi sfiorerà l’1% (oggi si trova a -0,30%) e questo farà salire il tasso variabile a circa il 2,20%.

Fra un anno l’indice Euribor potrebbe arrivare a circa 1,75%

La rata mensile sarà quindi più pesante di circa 75 euro. Tra dodici mesi, ovvero a giugno 2023, l’indice potrebbe arrivare a circa 1,75%, e questo farebbe salire il tasso variabile a 2,95% e la rata del muto a 663 euro. Vale a dire, quasi 120 euro in più rispetto a oggi. A dicembre 2027, fra 5 anni, le previsioni danno l’Euribor intorno al 2,10%. Se così fosse il tasso salirebbe a 3,30%, e la rata mensile a 684 euro, ovvero 140 euro in più rispetto a oggi.

Difficile fare previsioni, ma i messaggi del mercato non vanno sottovalutati

“Sebbene in periodi di grande incertezza come quello attuale sia difficile fare previsioni, è importante non sottovalutare i messaggi che arrivano dal mercato – spiega Ivano Cresto, Managing Director prodotti di finanziamento di Facile.it -. Oggi più che mai, quindi, la scelta del mutuo va affrontata con grande attenzione – prosegue Cresto -; il consiglio è di affidarsi a un consulente esperto in grado di identificare la soluzione più adatta alle esigenze dell’aspirante mutuatario”.

Open post

Il posto di lavoro migliore? Flessibile, inclusivo e… in viaggio

Come sognano il posto di lavoro ideale i giovani Millennials (26-41 anni) e quelli della Gen Z (18-25 anni)? Per scoprirlo arriva una recente ricerca condotta da Hilton, il colosso mondiale dell’ospitalità. Si legge così che le nuove generazioni, più che al mero stipendio, sono interessate a tutta un’altra serie di parametri. Dopo la pandemia, infatti, i benefit più importanti in un nuovo lavoro sono la flessibilità degli orari o la possibilità di gestire il proprio tempo (61%), seguiti da un forte senso di squadra sul posto di lavoro (41%) nonché l’opportunità di viaggiare. Dai risultati emerge l’importanza di incontrare nuove persone, di fare esperienza in diversi ruoli e di trovare un equilibrio tra lavoro e vita privata; inoltre, le aziende con forti politiche in materia di questioni sociali e ambientali sono risultate interessanti per l’80% delle persone di età compresa tra i 18 e i 41 anni.

Fondamentale un luogo di lavoro inclusivo

Tra le motivazioni di scelta, la diversità e l’inclusione sul posto di lavoro sono più importanti per le generazioni più giovani (37%) rispetto ai millennial (26%). Complessivamente, l’indagine ha anche rivelato che un luogo di lavoro inclusivo è essenziale per l’84% dei Millennial e della Gen Z. Gli intervistati ritengono che il legame umano abbia sempre più valore in un mondo post-pandemia, con l’88% che apprezza l’interazione sociale sul posto di lavoro. Inoltre, l’87% dei giovani di età compresa tra i 18 e i 41 anni considera le politiche di salute e benessere mentale come un aspetto importante, e il 18% ha anche rivelato di aver pensato di cambiare lavoro nell’ultimo anno a causa delle preoccupazioni per la propria salute e per il proprio benessere mentale.  

Ospitalità, perchè sì

Negli ultimi 12 mesi il 49% dei Millennials e della Gen Z ha preso in considerazione la possibilità di una carriera nel settore dell’ospitalità; inoltre sono prese in considerazione, in ordine di importanza, la possibilità di apprendere nuove competenze (29%), le ampie opportunità di sviluppo personale e di carriera (28%), la varietà del lavoro (28%), l’opportunità di viaggiare (24%) e la flessibilità di dedicare tempo ad altre priorità della vita, come la crescita di una famiglia (23%). La ricerca ha individuato un divario generazionale in merito a ciò che le persone apprezzano quando si tratta di carriera, con la generazione Z che, in una percentuale quasi doppia (22%) rispetto ai millennial (13%), considera rilevanti nella scelta di un lavoro le opportunità di viaggio internazionali. I risultati hanno anche evidenziato che i lavori tradizionali, come il costruttore (5%) o il pilota (8%) sono in calo, rispetto a lavori come il creativo dei social media (17%) o il marketing specialist (18%).

Posts navigation

1 2 3 4
Scroll to top